sabato 6 marzo 2010

Cos'è la scuola? Elementi introduttivi ad una critica rivoluzionaria dell'istituzione scolastica (parte seconda)

Nel numero precedente abbiamo visto come la scuola sia un prodotto storicamente determinato, in particolare la scuola borghese nasce in seguito alla conquista del potere politico da parte della borghesia (superamento del feudalesimo) per rispondere a tre fondamentali esigenze della società capitalista moderna: 1) formare una forza-lavoro che possa essere agevolmente sfruttata nella grande industria, 2) sviluppare il controllo ideologico e la disciplina del lavoro sulle classi dominate, 3) parcheggiare i figli dei proletari mentre i genitori lavorano.
Abbiamo quindi visto come la borghesia abbia dato vita, durante l'esercizio del suo dominio, ad una cultura dominante (la cultura borghese), per questo non è possibile parlare di “rivoluzione culturale” o di “liberazione per mezzo della cultura” quando si tratta, piuttosto, di portare la critica al cuore del sistema: una “cultura rivoluzionaria” o “proletaria” si svilupperà solo come riflesso ideale di un movimento pratico di critica alla società dello sfruttamento.

"È un pregiudizio credere che la borghesia domini per mezzo dell'ignoranza: essa invece domina per mezzo della sua cultura"
A. Bordiga, La nostra Missione, L'Avanguardia, 2 febbraio 1913

La scuola riflette e riproduce, a livello istituzionale ed ideologico, le caratteristiche della società borghese dalla quale sorge. Vedremo qui in che maniera questo assunto1 è verificato nella realtà dell'organizzazione scolastica.
Innanzi tutto rileviamo che tratto fondativo della nostra società basata sulla proprietà privata2 dei mezzi di produzione è la divisione del lavoro, secondo la quale vi è una parte di popolazione - la classe dominante - dedita esclusivamente alla gestione ed all'amministrazione, lavoro intellettuale, mentre vi è un altra parte - la maggior parte del proletariato - che è dedita esclusivamente al lavoro manuale. Naturalmente si tratta di un'astrazione3 e vi sono delle eccezioni, ma è innegabile che queste sono le due tendenze sulle quali si polarizza la società intera. Ora, il fatto che chi decide non lavora e chi lavora non decide fa si che il lavoratore sia sempre più alienato4, chi lavora partecipa ad un processo lavorativo che non gli appartiene, come non gli appartiene il frutto del suo lavoro, insomma vive l'intero atto e luogo di lavoro come estraneo e ostile.
A questo va aggiunto che la divisione del lavoro non avviene solo tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, bensì anche tra lavori differenti: chi svolge una funzione svolge quella e basta, è assolutamente estraniato dalla globalità del processo produttivo. Per quanto sia impossibile conoscere tutto di tutto, è altrettanto vero che è estremamente limitante (alienante) essere impiegato in una singola mansione e non avere idea di tutto ciò che avviene intorno, svolgere una singola fase del processo produttivo senza essere nella condizione di comprenderlo nella sua globalità.
Insomma la società attuale si fonda sulla proprietà privata dei mezzi di produzione per questo chi lavora partecipa solo al particolare settore della produzione nel qual è impegnato, non decide nulla bensì subisce le decisioni dei proprietari, passivamente (…almeno fino a che non si muove in direzione rivoluzionaria uscendo così dalla passività!). Ma in che maniera riscontriamo tutto ciò nella scuola?
Innanzi tutto è evidente che la scuola, luogo di formazione, è completamente distaccata dal mondo della produzione, non partecipa assolutamente alla produzione reale, è un isola praticamente senza contatti con l'esterno, anche quando i ragazzi vanno a fare degli stage nel mondo del lavoro si tratta sempre di mansioni dequalificanti, nelle quali si impara ben poco né si affrontano realmente i problemi della produzione reale. Vediamo poi che la stessa organizzazione classica della lezione vede l'insegnante come elemento attivo che trasmette il sapere e gli alunni come soggetti passivi con l'incarico di ingoiare quante più nozioni è possibile. Vediamo nella nostra esperienza scolastica come il modello dell'impresa capitalista abbia plasmato a sua immagine e somiglianza (e non poteva essere diversamente!) il modello della scuola capitalista: uno dirige, gli altri eseguono, i due poli della società.
Altro elemento che salta immediatamente agli occhi è la frammentazione del sapere e della conoscenza (sapere che in realtà è unico come unico è l'individuo che scopre il mondo nelle sue multiformi espressioni) in discipline che non comunicano tra di loro: italiano, matematica, diritto, chimica...sono mondi a se stanti, come sono mondi a se stanti le differente branche della produzione, è assolutamente assente un idea unitaria della conoscenza dei fenomeni del mondo come nella società è assolutamente ancora distante la possibilità di affrontare i problemi umani e ambientali come problemi di un unico grande sistema, ormai da tempo in crisi. Per concludere osserviamo come nella scuola tenda a prevalere l'individualismo e la ricerca della migliore prestazione individuale (meritocrazia), riflesso della concorrenza che i lavoratori si fanno tra loro nel luogo di lavoro, e vediamo come sia evidente che chi viene da famiglie agiate abbia migliaia di possibilità in più rispetto a chi proviene da famiglie proletarie. La scuola svolge, infine, anche un altra funzione fondamentale: il disciplinamento delle nuove generazioni... Ma a questo sarà il prossimo argomento che tratteremo.
Lotus

Non volgiamo qui asserire che tutti gli insegnanti siano in malafede, ohibò, asseriamo solo che una legge economica determinata li costringe ad agire, anche inconsciamente, nell'interesse di chi li paga. Sta in questo la concezione “marxista”del problema della scuola popolare
A. Bordiga, Per l'educazione rivoluzionaria della gioventù operaia, l'Avanguardia, 30 giugno 1912


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