http://www.youtube.com/watch?v=LNuu3HIHnq8
dalle macerie... una luce di speranza illumina la possibilità di un mondo nuovo.
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Sono tempi duri i nostri. Le nubi si addensano all'orizzonte e già arriva alle narici l'odore della tempesta. Per mantenere viva la speranza in un mondo migliore... dobbiamo affilare le armi della critica. (marzo 2009)
CIRCOLO DI INIZIATIVA PROLETARIA GIANCARLO LANDONIO
RispondiEliminaVIA STOPPANI,15 -21052 BUSTO ARSIZIO –VA-
(Quart. Sant’Anna dietro la piazza principale)
e-mail: circ.pro.g.landonio@tiscali.it
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http://digilander.libero.it/rivoluzionecom/Supplementi/2009/370/terremotoAbruzzo.html
Il terremoto, che ha colpito l'Abruzzo e distrutto L'Aquila, scoperchia le responsabilità di sindaci costruttori controllori autorità. E conferma che il peggior disastro è la borghesia col suo affarismo e corruzione.
Il nostro inestinguibile disprezzo contro coloro che hanno speculato e speculano sulla pelle della gente.
Cordoglio e solidarietà a favore di lavoratori pensionati bambini rimasti schiacciati feriti senza tetto.
Esigere il salario minimo garantito di euro 1.250 mensili intassabili.
Formare i "comitati proletari di terremotati" per assicurare i viveri l'alloggiamento e dirigere la ricostruzione.
Il 6 aprile alle ore 3,32 una forte scossa di terremoto scuote l'Abruzzo mandando in rovina il capoluogo e una trentina di paesi. Il sisma ha una magnitudo (potenza) di 6,3 gradi della scala Richter, pari a 8-9 gradi della scala Mercalli. Ed ha il suo epicentro a Paganica, un piccolo paese vicino al capoluogo. L'Aquila ripiega su se stessa e si sbriciola. Paganica, Onna, Tempera, Petogna, Poggio Picenze, Fossa, San Gregorio, Villa Sant'Angelo, Torninparte, Castelnuovo, Santo Stefano di Sessanio, Barete, Scoppito, Lucoli, Casentino, San Demetrio ne' Vestini, vengono rasi al suolo o semidistrutti. Onna un paesino di 300 abitanti viene cancellato subendo in percentuale il maggior numero di morti (42). La linea del sisma ha una lunghezza di 25 Km circa. E passa sotto L'Aquila. Un'intera città si riversa sulle strade alla ricerca di riparo. E si rifugia negli spiazzi nei campi nelle auto con quello che riesce a portar via nella fuga. Chi chiede aiuto in prefettura rimane senza soccorso. Anche l'Ospedale, prima di essere evacuato verso mezzogiorno, non ha mezzi di soccorso (autoambulanze). Ognuno si aiuta come può. Lo scenario, che si presenta ai primi soccorritori, è spettrale: il centro urbano è un mucchio di macerie sotto cui sono seppelliti centinaia di morti e feriti.
La macchina di controllo della "protezione civile"
L'apparato militaristico della protezione civile, benché nell'area si susseguano da mesi scosse continue di intensità crescente, viene preso alla sprovvista dal terremoto; e non ha alcun piano di emergenza. Il dispositivo specializzato diretto da Bertolaso, quando si muove, si muove troppo tardi e non ha mezzi di soccorso. Nei primi interventi vengono estratte vive dalle macerie 100 persone. Ma non ci sono tende. E la gente passa una notte all'addiaccio o in alloggiamenti di fortuna in strada o nei campi. La misura immediata, che viene presa dal governo in mattinata, è la dichiarazione dello "stato di emergenza nazionale", con cui vengono assegnati poteri eccezionali alla protezione civile; accompagnata da un'ordinanza con la quale i Sindaci dei comuni interessati vengono autorizzati, d'intesa con la "Direzione di comando e controllo" (Dicomec) istituita presso la Guardia di Finanza, a requisire beni mobili e immobili, ad acquistare viveri, a censire gli edifici pubblici e privati totalmente o parzialmente inagibili; e vengono, altresì, sospesi i termini (legali, convenzionali, sostanziali, processuali, di prescrizione e decadenza) fino al 31 dicembre 2009. In sostanza la macchina di intervento, messa in moto dal governo, entra in azione non per soccorrere gli sventurati ma per intrupparli e impedirne la ribellione. Così l'operazione principale, dispiegata dal contingente di Bertolaso (ben 7.500 operatori, di cui 2.500 vigili del fuoco), è stata quella di mettere sotto controllo la popolazione e di comprimerne ogni iniziativa autonoma.
Un disastro figlio dell'affarismo
Da un primo provvisorio bilancio che, in termini di vite umane e personali, può essere fatto il 7 aprile, risulta che ci sono 235 morti e una settantina di dispersi; 1.500 feriti; 70.000 sfollati (ma, se si tiene conto che la popolazione dell'area terremotata dorme fuori casa, questa cifra può essere più che raddoppiata). Dopo la scossa di 5,3 gradi Richter, che si verifica la sera alle 19.47, scossa che si avverte fin dalle Marche e dalla Campania, questo bilancio si aggrava in termini di angoscia e di paura in quanto nessuno pensa di rientrare in casa; nonché in termini materiali in quanto rovinano altri edifici o pezzi di edifici. A L'Aquila cadono a pezzi i più grossi palazzi, pubblici e privati, addetti ad abitazioni o ad attività commerciali; e case di ogni tipo. Il centro urbano, tra via XX Settembre via Luigi Sturzo e via Gen. Francesco Rossi, è un mucchio di macerie. Sono crollati la casa dello studente, il municipio, la prefettura, il tribunale, le scuole. Hanno ceduto, in altra zona, i reparti di degenza chirurgici e la farmacia del complesso ospedaliero San Salvatore costato nel 2000 oltre 200 miliardi di lire. Sono caduti, dappertutto, palazzi vecchi e nuovi. In breve è crollato il prodotto dell'affarismo edilizio e amministrativo.
Sulle responsabilità, sulla catena di responsabilità, di questo disastro c'è molto da dire. Limitiamoci all'essenziale e a ciò che in questo momento preme di dire, rammentiamo che l'Abruzzo è una regione ad elevato rischio sismico e che L'Aquila poggia su una faglia attiva. Qualunque costruzione venga eseguita in un'area siffatta deve rispettare i criteri anti-sismici di edificazione altrimenti non resiste alle vibrazioni delle scosse. Allo stato attuale delle conoscenze sismologiche l'unica difesa efficace dalle scosse è quella di tirar su bene gli edifici e di mettere in sicurezza gli edifici esistenti che ne hanno bisogno. Già dieci anni addietro gli stessi esponenti della protezione civile, nazionali e locali (Barberi e Petrini), avevano tracciato una mappa dei rischi indicando gli edifici pubblici che non avrebbero retto a una scossa sismica di forza notevole. Sono caduti appunto gli edifici considerati a rischio da questi protettori istituzionali. Il disastro aquilano scoperchia quindi la catena affaristica, intrisa di corruzione e intrallazzi, che lega imprenditori amministratori locali e regionali controllori istituzionali e politicanti, ossia i vari e veri responsabili delle vittime e delle rovine.
La catena istituzionale-impresaria e sistemica delle responsabilità
Dal capo dello Stato a quello del governo, dalla presidente di Confindustria ai segretari confederali, dai vari pulpiti istituzionali accademici religiosi alle varie associazioni imprenditoriali, e via dicendo, è un grido unico scandalizzato sul cedimento dell'Ospedale San Salvatore, sul fatto cioè che un edificio costruito per dare soccorso venga dichiarato inagibile ed evacuato il giorno stesso del sisma. Questi distinti paladini del capitalismo finanziario parassitario e della sua belluina logica affaristica (profitto rendita e usura) puntano il dito della responsabilità sul cedimento che nel disastro è una specie di pietra dello scandalo; ma per nascondere e coprire quella logica affaristica, di cui il cedimento è frutto e su cui si regge l'intero sistema. Per non banalizzare il problema della responsabilità e della catena di responsabilità nei disastri sociali e collettivi, lasciando credere che esista una soluzione giudiziaria (tipo "Sanitopoli" per restare in terra d'Abruzzo), bisogna chiamare in ballo il sistema in cui viviamo e giudicare con una visuale materialistica e un criterio di classe. I terremoti sono forze della natura; ma le conseguenze disastrose che essi provocano dipendono da come gli uomini vivono e si organizzano socialmente. Il terremoto aquilano si distingue per il grande numero di edifici crollati all'istante e classati come "costruzioni antisismiche in cemento armato". Il sisma, di magnitudo forte ma non eccezionale, ha messo in luce che gli edifici crollati o inagibili (e si tratta di oltre il 50%) di antisismico avevano solo il nome e la finzione del collaudo comunale. C'è una responsabilità che non è solo personale, ma sistemica, e che va dai committenti ai costruttori (si tratti dell'Impregilo, di Armido Frezza, del piccolo impresario, del cottimista, del carpentiere, ecc.); dai controllori ai controllati; dai sindaci alle giunte regionali; dai politicanti locali a quelli nazionali; e, a salire, dai capi divisione ai direttori generali fino alle alte cariche statuali. In meno di un anno il governo in carica con tre diversi provvedimenti ha ridotto di 500 milioni i fondi destinati ai monitoraggi sismici e agli interventi per la difesa del territorio per compensare il taglio dell'ICI. E col recentissimo piano casa, ancora in fase di perfezionamento, esso incentiva grossi medi e piccoli proprietari di case a deformare ulteriormente gli assetti urbani e la stabilità degli edifici. Quindi la rovina materiale e le sofferenze presenti e future degli abruzzesi coinvolgono, a vari livelli di responsabilità, tutte le facce rappresentative del sistema di potere borghese: istituzionali, imprenditoriali, amministrative, tecno-scientifiche, ispettive, ecc. E un "processo" effettivo a tutte queste figure può farlo solo la giustizia proletaria, che richiede la conquista del potere da parte dei lavoratori.
I disastri non colpiscono tutti allo stesso modo
La conseguenza sociale, più generale e drammatica che viene fuori dal disastro, è che i lavoratori hanno perso, oltre ai morti e alla casa, il lavoro. Di colpo la quasi totalità dei salariati, prima occupata in cassa integrazione o disoccupata, si trova senza fonte di vita. Nei provvedimenti a sostegno dei terremotati, adottati il 9 aprile, il consiglio dei ministri ha deciso:
1) l'aumento della dotazione a favore della Protezione civile da 30 a 100 milioni per garantire il controllo sulla popolazione e sul territorio; e provvedere sulle prime necessità;
2) 800 euro al mese agli autonomi che hanno perso casa e lavoro;
3) 400 euro al mese alle famiglie che provvederanno in modo autonomo alla propria sistemazione; 500 per gli over 65 e le persone diversamente abili;
4) sospensione per 2 mesi delle bollette di luce e gas;
5) possibilità di ricontrattare le rate del mutuo;
6) sospensione, per gli autonomi, del pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Tra questi provvedimenti non ce n'è uno che sia diretto al sostegno del reddito dei lavoratori salariati, che è l'urgenza immediata indifferibile numero uno! Nessun giuoco di prestigio, come la presenza del presidente del consiglio tra i terremotati, può coprire questo buco! Questo buco è una manifestazione esemplare che i disastri non attenuano ma accentuano le differenze di classe.
Contro la militarizzazione del territorio e la supremazia della "Protezione civile"; per l'iniziativa e l'autonomia proletaria
Il bilancio dei morti è al 12 aprile di 294. Quello dei feriti di 1.500 circa. Quello degli sfollati, accampati, alloggiati nelle tendopoli, nella vettura, di 100.000 circa. Quello degli immobili distrutti del 50-60% circa per i 30 paesi dell'area diretta del sisma, a parte quello degli immobili lesionati dei paesi circostanti. Un bilancio più dettagliato e completo può essere fatto solo più avanti. Ora ci resta da concludere e dare le indicazioni operative.
L'affetto e la solidarietà per la popolazione colpita non devono sorgere dalla disgrazia, bensì dall'appartenenza e dalle condizioni di classe. Tutto il nostro affetto e solidarietà va incondizionatamente ai lavoratori abruzzesi.
In questo momento siamo in piena emergenza e proprio in questo momento di emergenza i lavoratori abruzzesi debbono mantenere la propria indipendenza l'autonomia dal potere statale dalla protezione civile dall'imprenditoria e dai politicanti locali; sia perché ogni emergenza, che in ultima analisi è un prodotto della politica statale, viene sfruttata dal governo per rilanciare la speculazione e la distruzione del territorio (si parla già di "Old Town", ossia di costruire le case in un nuovo spazio); sia perché l'emergenza, non preventivata dalla protezione civile, il cui compito non è quello di salvaguardare la popolazione dalle calamità bensì quello di controllarla e di prevenirne la ribellione, serve a questo apparato militarizzato per esercitare poteri dittatoriali sui territori nell'interesse delle cricche borghesi di cui si è fatto cenno prima. Bisogna quindi costituire i comitati proletari di terremotati per difendere gli interessi dei lavoratori e contrapporli ai piani del governo e degli speculatori.
Su questa base organizzativa battersi:
1°) per avere il salario minimo garantito di euro 1.250 mensili intassabili a favore di tutti i dipendenti, prima occupati o disoccupati; e per l'equiparazione delle pensioni operaie basse al salario minimo garantito;
2°) per l'immediata costruzione di alloggi ai senza tetto e per l'immediata restaurazione e messa in sicurezza delle case dei lavoratori;
3°) per la fornitura gratuita di attrezzi e prestiti ai piccoli coltivatori e agli artigiani;
4°) per intervenire sulla "ricostruzione" ed impedire che questa diventi appannaggio di immobiliaristi e costruttori dell'affarismo berlusconiano.
- Edizione a cura di
RIVOLUZIONE COMUNISTA
SEDE CENTRALE: P.za Morselli 3 - 20154 Milano
e-mail: rivoluzionec@libero.it
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certo è positivo questo ritrovarsi
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