giovedì 25 novembre 2010

A proposito delle proposte di legge relative al riordino dei percorsi di abilitazione e di reclutamento.



Sto frequentando il comitato precari scuola di roma, i quali mi hanno chiesto di scrivere un articolo sul reclutamento. questo è un "papiellone" dal quale verrà estratto l'articolo. buona lettura... in attesa di commenti.

Introduzione Nel lavoro di studio volto a comprendere come si configureranno i percorsi di formazione, abilitazione e reclutamento dei futuri insegnanti, ci siamo immediatamente imbattuti in difficoltà legate al significato da attribuire ai regolamenti ed alle proposte attualmente in discussione nelle aule parlamentari.

Quale presa di posizione dei precari della scuola – abilitati e non, con l’attenzione rivolta anche a quanti si abiliteranno in futuro - rispetto alle nuove norme che regoleranno l’accesso o meno, la permanenza o meno, alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca?

La crisi. Non potevamo prendere una posizione corretta, se non collocando il fenomeno in oggetto – la ridefinizione del reclutamento e dei percorsi abilitanti – all’interno del quadro che l’erompere della crisi va determinando.

Anni di crisi strisciante sono esplosi nel 2007, scuotendo l’intero mondo capitalista, così la scuola e i suoi lavoratori sono stati chiamati a sacrificarsi, al pari di altre categorie di lavoratori dipendenti, per sanare l’insanabile economia nazionale.

La crisi, i tagli e la loro gestione. Crisi significa tagli e i tagli vogliono dire: più soldi alle banche e agli imprenditori, meno soldi ai lavoratori dipendenti (taglio del salario diretto, dei posti di lavoro e del salario indiretto come scuola, sanità, servizi, pensioni...). Nello specifico della scuola, crisi sta significando una drastica riduzione di personale, risorse, mezzi, strumenti... una situazione drammatica, ma potenzialmente esplosiva.

Dal punto di vista del potere borghese, che ne è l’artefice, il taglio netto di decine di migliaia di insegnanti avviato dalla “riforma” Gelmini deve essere gestito, gestito nella maniera più indolore possibile. Questo significa che il più grande licenziamento di massa della storia italiana deve avvenire prevenendo e scongiurando la possibilità che la rabbia dei licenziati e tagliati possa trasformarsi in movimento di contestazione unito e, sopratutto, che la rabbia dei precari possa superare le guerre intestine, le divisioni sindacali e gli ostacoli istituzionali e giuridici che la vincolano, per arrivare a saldarsi con lo scontento dei docenti di ruolo, dei genitori, degli alunni, di tutti gli altri lavoratori della scuola... i quali sono, infatti, tutti accomunati dalla concreta constatazione del rapido peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro. Gestire, per loro, significa, insomma, dividere e prevenire la possibilità che l’opposizione si generalizzi, radicalizzandosi.

La dequalificazione dell’insegnamento. I tagli servono a risparmiare denaro e, al contempo stanno determinano l’adeguamento della scuola pubblica alle esigenze del nuovo mercato del lavoro. Se è vero che la scuola ha innanzi tutto il compito di formare i lavoratori di domani, e se è vero che il mercato del lavoro va sempre più caratterizzandosi nella direzione della disoccupazione di massa e del lavoro precario e/o scarsamente qualificato, allora è anche vero che la nuova scuola pubblica dovrà formare una formazione sempre più flessibile e dequalificata.

I tagli e la ridefinizione della nuova scuola pubblica vengono gestiti, anche, attraverso la riforma del reclutamento e dei percorsi abilitanti, che sono, infatti, l’oggetto del nostro studio.

Lo schema. Lo schema di decreto relativo al regolamento dei requisiti e modalità della formazione iniziale dei docenti si colloca pienamente in questo solco. Da un lato impoverisce ulteriormente la figura del docente della scuola secondaria, il quale accederà ad un biennio magistrale ed al successivo tirocinio (TFA) sulla base di soli tre anni di studi universitari. In questo caso la suddivisione tra un biennio magistrale e uno di ricerca non fa che confermare che i futuri docenti avranno sempre meno competenze disciplinari. Un altro aspetto che va sottolineato è che all’articolo 16 di questo schema si afferma chiaramente: “i corsi di cui al presente decreto sono organizzati dalle Università senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Questo, in tempi di violenti tagli alle Università, significa che anche questi corsi o non si attueranno o, peggio, si svolgeranno a totale carico degli iscritti.

E il reclutamento? In materia ci sono le proposte contenute nel DDL Aprea prima, nelle proposte Goisis e Cota poi. Ebbene, l’essenza di queste proposte è l’affermazione dell’idea che il reclutamento debba superare le graduatorie nazionali per avvenire attraverso graduatorie regionali, se non, addirittura, nella prospettiva di concorsi indetti direttamente dai Dirigenti, sulla scorta dei posti disponibili nelle singole scuole (o reti di scuole).

La nostra presa di posizione in merito. La nostra posizione non può correre il rischio di arenarsi tra i perigliosi articoli della legislazione in oggetto. Primo perché possiamo essere sicuri che la scuola verrà sottoposta ad altre, peggiorative, modifiche, secondo perché abbiamo bisogno di individuare dei punti di orientamento fermi, che ci permettano di avere le idee chiare in materia, affermando un punto di vista alternativo e rispondente al nostro specifico e comune interesse di lavoratori della scuola.

No alla regionalizzazione. La regionalizzazione va respinta, perché colpisce innanzi tutto chi vive condizioni peggiori e perché, dividendoci, prepara il terreno a nuovi ed ulteriori attacchi e miseria. Allo stesso modo va respinto qualsiasi criterio che metta in concorrenza i precari tra loro. Dopo 150 anni di sfruttamento, di clientelismo, e di politiche neo coloniali da parte delle borghesie del nord, il sud vive condizioni drammatiche: la crisi occupazionale ha raggiunto picchi di insostenibilità (vedi il caso estremo dei suicidi, o anche degli scioperi della fame). Sostenere politiche federaliste in materia di assunzione vuol dire condannare gli insegnanti del sud e, in pari tempo, aumentare la concorrenza interna alla nostra categoria.

Altri aspetti del medesimo problema. Allo stesso modo, l’assunzione tramite concorsi d’Istituto, o, peggio, attraverso la nomina diretta dei Dirigenti, significherebbe gettare intere masse di insegnanti alla disperata guerra tra poveri, pur di assegnarsi uno tra i pochi posti rimasti disponibili. Ugualmente va sottoposto ad aspra critica l’innalzamento dell’età pensionabile, il blocco delle finestre etc. i quali non fanno che ostacolare il ricambio generazionale, impedendo l’ingresso di nuovi docenti. In fine la stessa meritocrazia, che la FLC di fatto accetta, è un’arma contro di noi, perché volta ad incentivare i docenti ruffiani e proni, pronti a tutto pur di guadagnare di più o... di accedere al posto di ruolo, a discapito degli altri.

Il vero problema. L’unica realtà sulla quale dobbiamo focalizzare la nostra attenzione è che i tagli di personale e risorse stanno mettendo in ginocchio la possibilità di dare una adeguata risposta ai bisogni educativi/formativi dei giovani (in particolare di coloro i quali provengono da famiglie proletarie), cancellando al contempo la possibilità di dare adeguata occupazione ai circa 200’000 precari attuali (e a coloro che si abiliteranno in futuro).

Per cosa lottiamo. E’ impossibile, allora, fare qualsiasi ragionamento se il nostro “NO AI TAGLI!” non si leva corale, conseguente e compatto, nelle scuole, tra i docenti e tra gli studenti universitari che accedono ai percorsi abilitanti. E’ questa la premessa a qualsiasi discorso, il motivo centrale intorno al quale costruire la nostra unità nella lotta.

A questa premessa dobbiamo essere conseguenti impegnandoci nel denunciare – in tutti i modi possibili - la condizione di carenza di personale e risorse che la riforma sta creando, a partire dal pretendere la nomina dei supplenti e dal denunciare il fatto che alcuni colleghi pur potendo andare in pensione non ci vanno, fino a coinvolgere i ragazzi, i genitori e gli altri lavoratori della scuola in assemblee di mobilitazione volte a trovare di comune accordo obbiettivi e modi nei quali lottare in maniera più efficace a partire dal territorio, cercando, infine, sopratutto al sud, di dare vita ad iniziative forti insieme a chi è già stato tagliato fuori (come quella, purtroppo ancora isolata, di Messina)...

Per concludere sul reclutamento, non possiamo che respingere la frantumazione dei precari tra mille graduatorie per affermare, al contrario, la necessità che il reclutamento avvenga, per tutti, attraverso le graduatorie nazionali, sulla sola base dell’anzianità di servizio e dei titoli, escludendo, però, i titoli spazzatura da 1 e 3 punti messi in vendita nelle varie università.


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