lunedì 1 novembre 2010

Anche nella scuola: i sindacati contro i lavoratori, gli internazionalisti per l’autogestione delle lotte.

La dura realtà della crisi e della “riforma”.

L’attacco alla scuola pubblica, ed a chi vi lavora, è uno dei fronti principali attraverso il quale il padronato italiano vuole far pagare i costi della sua crisi ai lavoratori.

Come Brunetta taglia entro il 2013 300.000 posti nel pubblico impiego, e come il padronato è ovunque all’attacco, così il duo Gelmini-Tremonti nella pubblica istruzione non ne licenzia meno di 135.000 tra docenti e ATA, riducendo al contempo le ore di lezione, i pochi fondi residui, innalzando il numero minimo e massimo di alunni per classe, etc., il tutto mentre l’edilizia scolastica cade pericolosamente a pezzi, vengono tagliati del 25% (!) gli appalti per la pulizia dei locali e le condizioni di tutti quelli che vivono attorno alla scuola peggiorano rapidamente.

Insomma, il secondo anno di attuazione della “riforma” Gelmini delinea con chiarezza unica i tratti caratteristici della scuola pubblica di domani: poco personale, nessuna risorsa se non quelle reperibili attraverso l’elemosina dei privati e il “contributo volontario-obbligatorio” dei genitori (i quali, è bene dirlo, già pagano la scuola pubblica attraverso le tasse), condizioni lavorative sempre peggiori e quindi sempre peggiori condizioni per i ragazzi. Certo, non tutti gli studenti sono colpiti allo stesso modo: c’è chi proviene da famiglie abbienti e può scegliere le private, anche grazie ai contributi statali, e c’è invece la massa che è composta da figli di lavoratori che scegliere non possono e allora devono accedere ad una scuola sempre più simile a un baby-parking.

Se questa è la realtà, e lo è!, allora è naturale che a chi a scuola ci lavora “gli roda” e voglia fare qualcosa. Allora il lavoratore della scuola che si vuole mobilitare, si guarda intorno... e che trova?

Come il sindacalismo tenta di “opporsi” alla “riforma” Gelmini.

La CGIL ha avanzato una linea di “lotta”, ritenuta dagli stessi iscritti, ridicola: un’ora di sciopero ogni 15 giorni dal 1 ottobre al dicembre 2010, oltre ad un generico e minimalista invito a non svolgere prestazioni orarie aggiuntive (cfr. comunicato FLC 1/09/’10). Ma, nella quotidianità, alle – poche – buone intenzioni si accompagna una condotta, p.es. nelle assemblee sindacali, tutta volta a seminare scoraggiamento e rassegnazione, nella messianica attesa di uno sciopero generale che, se si farà, non sarà altro che opera di testimonianza, la quale nessun danno apporterà concretamente ai padroni.

Ci rimane il sindacalismo di base! Vediamo: qual’è la proposta di mobilitazione del sindacalismo alternativo in questo avvio di anno scolastico, caratterizzato dal sostanziale disorientamento dei lavoratori dinnanzi all’uragano che si sta abbattendo su di loro? Ogni sindacatino ha proposto la propria mobilitazione autonoma! Vogliamo essere più chiari. I sindacati di base sono quasi una decina ed hanno tutti piattaforma, rivendicazioni, modalità di operare molto simili, ma non si uniscono tra di loro nemmeno per uno sciopero, né lo faranno mai. Perché? Perché non riescono a capire che se i lavoratori fossero uniti sarebbe già un passo avanti? Perché continuano a frammentarci e a dividerci? Perché ritengono più importante conquistare migliori posizioni per la propria struttura di appartenenza indicendo scioperi isolati, piuttosto che mettersi al servizio della lotta di classe, come un sindacato decente dovrebbe fare? La nostra risposta è una e definitiva: perché il sindacalismo ha fatto il suo tempo. Almeno 200 anni di capitalismo hanno ormai completamente assorbito i margini in base ai quali il sindacato giustificava ai lavoratori la propria esistenza.

Oggi chi parla di ricostruire il sindacato di classe – e a molti sembra l’unica prospettiva possibile - non solo non tiene conto che si tratta di un desiderio che fa a cazzotti con quanto la realtà quotidiana ci dimostra in fatto di sindacalismo, ma fa un discorso addirittura reazionario, nel senso che vorrebbe – cosa evidentemente impossibile – riportare il conflitto di classe indietro di decenni. Il problema non è oggi come resuscitare forme di conflittualità ormai superate dalla Storia (sindacalismo), quanto attrezzarsi per intervenire nelle nuove forme che assumerà la lotta di classe in questi anni ‘10 così tormentati da una crisi economica di anno in anno sempre più feroce.

Insomma, dal nostro punto di vista chi crede di recuperare i sindacatoni, i sindacatini o anche alcuni politicanti, alla difesa dei nostri interessi sta prendendo una grossa cantonata, continuando a sottomettere forze proletarie a interessi e a logiche (salva restando la buona fede di moltissimi iscritti di base) di micro o macro apparati che vivono e si legittimano grazie alla nostra frammentazione, grazie al fatto che auspicano di presentarsi ai dirigenti (o ai ministri) come strutture autenticamente capaci di gestire il conflitto. Insomma il sindacalismo difende ormai solo più sé stesso, i suoi interessi di struttura e ha da tempo abbandonato gli interessi dei lavoratori.

E allora voi internazionalisti che cosa proponete?

Se il sindacalismo, allo scopo di vedere riconosciuta dalla controparte la propria sigla, è sempre disposto a sacrificare gli interessi dei lavoratori, allora è evidente che il nostro progetto deve guardare altrove.

Il punto di partenza devono essere necessariamente comitati di agitazione i quali raccolgano i lavoratori più combattivi, iscritti o non iscritti ai sindacati, possibilmente e auspicabilmente anche di tipologie differenti (docenti, ATA, personale educativo, pulizie, genitori proletari, etc.).

Sono questi comitati spontanei, che nascono sulla base di rivendicazioni specifiche, che devono decidere come, quando e per cosa lottare (chi conosce i problemi e le possibilità di mobilitazione meglio di chi è coinvolto direttamente?) e parallelamente devono uscire dalla mera logica di categoria per coinvolgere tutti coloro che a scuola lavorano e i genitori, molti dei quali stanno anch’essi subendo le conseguenze della crisi.

La nostra indicazione è quella di andare verso assemblee trasversali lavoratori/studenti/genitori, che magari riescano ad uscire dalla singola scuola, per coordinarsi a livello territoriale al fine di sviluppare la lotta nelle forme più opportune. I comunisti devono stimolare questo tipo di iniziative e orientarle a saldarsi con le altre mobilitazioni presenti sul territorio (contro licenziamenti, devastazione ecologica etc.) diventando magari per esse un punto di riferimento fuori e contro la logica del compromesso e della delega che è propria del sindacalismo.

All’interno di queste assemblee bisognerà da un lato far maturare la coscienza anti-capitalista (la crisi è frutto del sistema e quindi è col sistema stesso che ci stiamo scontrando), dall’altro cercare di estendere sempre di più la mobilitazione (la crisi morde con violenza settori via via più ampi di proletari), affermando al contempo quelli che sono i propri interessi e rifiutando così le contrattazioni al ribasso che politicanti e sindacalisti ci proporranno: i sindacati interverranno a mediare, ma noi dovremo avere la forza di porli davanti alla scelta, o si rispettano le decisioni dell’assemblea o faremo definitivamente a meno anche di voi.

I comunisti devono necessariamente collocarsi su questo terreno e qui affinare le loro capacità di intervento, organizzazione e direzione dello scontro, se non vogliono essere tagliati definitivamente fuori dai giochi!

Ecco cosa intendiamo quando parliamo di lotta fuori e contro il sindacato, ecco come pensiamo che inizieranno a prendere forma le assemblee proletarie territoriali che oggi, sole, possono porre un argine all’attacco in atto, ma che domani – in rapporto dialettico col partito rivoluzionario - rappresenteranno gli embrioni di quello che sarà un sistema nuovo, nel quale la borghesia sarà categoricamente esclusa dall’esercizio del potere.

Perché se la crisi non nasce dal nulla, ma è il frutto di un sistema giunto all’orlo del collasso, allora dobbiamo necessariamente e da subito almeno iniziare a porci il problema del suo superamento, il problema di costruire il partito di classe all’interno dello scontro di classe in atto.

E’ questo il terreno sul quale chiamiamo al confronto i lavoratori della scuola, e non solo, più combattivi.


lotus

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