venerdì 29 novembre 2013

LA NECESSITÀ DI UN'ALTERNATIVA

È giusto e necessario “lottare e organizzare il dissenso sociale” contro questo governo e le gravissime conseguenze economiche e sociali delle politiche dei governi che lo hanno preceduto. Dalla riforma delle pensioni e del mercato del lavoro - passate nel silenzio/assenso della triplice sindacale - ai tagli alla sanità ed allo stato sociale, all'aggressione ai territori e alla salute. È giusto e necessario schierarsi contro le linee di intervento che, emanate dai grandi centri del capitalismo internazionale (Comunità Europea, BCE, FMI) in accordo con le borghesie nazionali, ci stanno gettando nella miseria negando ogni futuro a noi e ai nostri figli.
È giusto e necessario scendere in lotta per contrastare tutto questo, per contrastare tali organismi e le conseguenze delle loro scelte, organismi che rappresentano gli interessi della classe dominante di un sistema capitalista che vive di profitto estorto sulla pelle di milioni di esseri umani sfruttati, relegati ad essere mera forza-lavoro. Ma opporsi non basta.
È ora che nelle piazze, nelle lotte, nei volantini, comizi e giornali, non ci si limiti a rivendicare il soddisfacimento del proprio bisogno particolare e immediato (salario, lavoro, stabilità, cure, servizi, ambiente...), al contrario è ora che, ovunque sia possibile e con ogni mezzo disponibile, si dica chiaro e tondo ciò che ancora nessuno dice: questo sistema ha fallito, i lavoratori devono prendere il potere.

Contro tutti i fronti dell'imperialismo

L'interesse di ogni lavoratore del mondo è comune a quello di un altro: entrambi sono vittime di una condizione di sfruttamento che è loro preciso interesse rovesciare. In guerra entrano in conflitto fronti legati ad interessi imperialisti contrapposti (e l'imperialismo non è solo made in USA!), mentre sul terreno rimangono a migliaia i corpi dei proletari, dei civili. I proletari, gli sfruttati, non hanno alcun interesse a sostenere questo o quel fronte di guerra, il loro interesse è la solidarietà internazionale di classe, è contrapporre la lotta proletaria alla guerra borghese.

Il potere ai lavoratori

Ma in tutti i paesi del mondo i lavoratori sono ancora classe sfruttata, soggetta al potere del padronato, privato o statale che sia. È possibile uscire dalla crisi di questo sistema, ma è possibile farlo in un unico modo: rovesciando il potere politico borghese. Affermare così nuovi organismi di potere: i consigli territoriali composti da lavoratori. Questo significa escludere da ogni diritto politico la classe borghese che, vivendo del plus-valore succhiato dalla forza viva del lavoro, è la classe socialmente responsabile dell'attuale disastro economico, sociale, ambientale... e del suo divenire.

Lavorare tutti, lavorare meno

Chi parla di salario garantito non ha capito due cose:
  1. fino a che sussisterà il capitalismo nessuna misura del genere potrà concretamente realizzarsi, le lotte devono partire dagli obiettivi immediati ma devono indicare nel socialismo l'unica via risolutiva generale;
  2. quando il potere passerà ai lavoratori il problema non sarà di garantire il salario a tutti, bensì di estendere l'obbligo di lavoro: chi non lavora non mangerà (fatta eccezione per gli inabili al lavoro, naturalmente).
Tutte le forze di lavoro disponibili dovranno partecipare alla produzione, collettivamente decisa, di tutto quanto necessario. Sarà così possibile realizzare la progressiva liberazione del tempo di vita dal lavoro. Condizione imprescindibile affinché ogni individuo possa liberamente esprimersi e svilupparsi.

Superamento del lavoro salariato

Solo il potere dei lavoratori – attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione, per il loro impiego al fine di soddisfare i bisogni collettivi e individuali – sarà in grado di porre un freno alla continua spoliazione dei paesi più deboli (tra i quali l'Italia) a vantaggio delle borghesie dei paesi più ricchi. La socializzazione di tutto l'apparato di produzione e distribuzione è l'unica possibilità di garantire occupazione e benessere per l'intera popolazione. Fino a che le aziende saranno nelle mani dei privati queste continueranno ad essere utilizzate al solo fine del profitto, i lavoratori continueranno ad essere unicamente numeri da sacrificare sull'altare della contabilità aziendale. Nelle attività socializzate il salario verrà sostituito dal buono lavoro attraverso il quale i lavoratori potranno accedere al fondo sociale di consumo: l'estinzione del denaro e della proprietà borghese è la condizione per il definitivo superamento del capitalismo.

Produrre in armonia con la natura, per soddisfare i bisogni umani

La produzione socializzata non risponde alla logica del profitto ma alla necessità di produrre per soddisfare i bisogni umani. Per questo motivo cambierà totalmente non solo l'ordine delle priorità produttive, ma le modalità stesse di produzione e scambio. Il consumismo egoistico lascerà spazio ad un utilizzo consapevole e sociale dei prodotti e degli spazi. I problemi abitativi, di mobilità e ambientali si risolveranno attraverso una gestione razionale e condivisa di tutte le risorse disponibili. Il socialismo, perché di questo stiamo parlando, pone le premesse per il definitivo superamento dell'antagonismo tra città e campagna e quindi per un rapporto armonico tra l'umanità, finalmente ritrovata, e l'ambiente.

Internazionalismo proletario

Il vero risultato delle singole lotte non è il solo raggiungimento dell'obiettivo immediato in sé, in quanto la classe dominante ogni volta si riprende con una mano quello che è stata costretta a cedere con l'altra, il loro vero risultato è la crescita dell'organizzazione e dell'unità di tutti i proletari, la crescita della coscienza della necessità della conquista del potere politico da parte della classe dei lavoratori. L'unità dei proletari sul terreno rivoluzionario è la condizione necessaria per iniziare a combattere tutte le oppressioni che caratterizzano l'attuale società di classe e per affermare, nel processo rivoluzionario, la totale emancipazione della donna, la fine della condizione di svantaggio e oppressione dei proletari immigrati e, in generale, dei proletari del Sud e delle minoranze etniche. L'unità dei proletari di tutti i paesi passa necessariamente dal rifiuto delle logiche della guerra imperialista, per la fratellanza tra i proletari di tutti i paesi del mondo, a partire dalle zone di guerra: proletari di tutti i paesi: uniti! Il nemico è prima di tutto in casa propria, per questo l'imperativo è innanzi tutto di farla finita con la propria borghesia e con l'asservimento alle sue ideologie, di destra o di sinistra che siano. Il potere dei lavoratori, premessa irrinunciabile per procedere sul terreno della socializzazione, probabilmente si affermerà dapprima in un territorio ristretto, ma solamente a patto di estendersi rapidamente su scala internazionale potrà realmente trionfare, relegando così nei libri di storia il sistema dell'oppressione e dello sfruttamento: il capitalismo.

Partito Comunista Internazionalista

Per realizzare questo programma, il programma dell'emancipazione dell'umanità dalle catene dello sfruttamento, i lavoratori più coscienti devono unirsi nello strumento politico della loro lotta di classe. Tale strumento politico è il partito internazionale del proletariato.
Così come ogni lavoratore deve chiarire ai propri colleghi che ogni lotta contingente è destinata, nel lungo periodo, alla sconfitta se non si chiarisce che i problemi dei lavoratori potranno essere risolti solo ed esclusivamente attraverso la conquista del potere da parte della classe lavoratrice nel suo complesso; allo stesso modo questi lavoratori devono porsi il problema della loro crescita ed organizzazione politica, ossia porsi il problema di aderire al Partito Comunista Internazionalista in quanto, come organizzazione, ci poniamo, senza ambiguità o opportunismi di sorta, gli immani problemi che abbiamo qui brevemente esposto. Sia chiaro, esistono anche altre organizzazioni politiche, ma il punto è che laddove queste lasciano spazio all'ambiguità, all'opportunismo, al riformismo o, all'opposto, al settarismo o allo schematismo, prestano il fianco ad un recupero ideologico da parte dell'ideologia dominante, del padronato, e sono quindi, in ultima istanza, inefficaci all'unico fine che oggi realmente conta: la costruzione del partito di classe per la conquista del socialismo.
Il PC internazionalista, in Italia, porta avanti, con le altre sezione della TCI (Tendenza Comunista Internazionalista), un lavoro internazionale volto proprio alla costruzione e al radicamento del Partito internazionale del proletariato. La TCI è "per" costruire questo Partito, non si illude di esserlo già e non crede di essere necessariamente il suo unico embrione. Unisciti al nostro lavoro.

mercoledì 17 aprile 2013

Post elezioni


Il nostro programma non è elettorale


La politica rivoluzionaria e alcune riflessioni sulle recenti elezioni

Il nostro programma politico, a differenza di tutti gli altri partiti, non è mai stato un programma elettorale, ovvero un programma che si pone il problema di amministrare il capitalismo nella maniera migliore, difendendo gli interessi di questa o quella categoria borghese. No, il nostro è un programma rivoluzionario, il quale si fonda su tre pilastri fondamentali.

Il primo pilastro è che nessuno difenderà il proletariato se non saranno i lavoratori stessi a farlo: non vi è reale lotta di difesa degli interessi proletari, nemmeno di quelli minimi, se non fuori e contro la logica e le istituzioni (compresa quella sindacale) della classe dominante. La lotta di classe è il punto di partenza indispensabile per qualsiasi ragionamento, in assenza di questa anche le nostre possibilità di dispiegare la lotta per il programma dell'alternativa sono pressoché nulle.

Il secondo è che è impossibile difendere gli interessi di parte proletaria (di noi sfruttati, insomma) se non rovesciando da cima a fondo l'intero sistema economico e sociale, ossia avviando un nuovo modo di produrre e distribuire, il quale si fondi sulla socializzazione di tutti i mezzi di produzione e sulla loro gestione collettiva, per il soddisfacimento dei bisogni umani.

Il terzo pilastro è che per raggiungere questo obiettivo minimo è necessaria una rivoluzione politica e che questa è impossibile se, nella classe degli sfruttati, non è presente un partito di classe capace di orientarne la rabbia al totale rovesciamento dell'esistente, perché la barbarie odierna sia spazzata via.

Insomma, indipendentemente dal governo che si formerà sarà nostro compito denunciarne la sua essenza antiproletaria, agitare la necessità di lottare contro il Sistema in quanto tale ed organizzare i migliori elementi proletari nel Partito.

Riflessioni sul post-elezioni

Parliamo ora invece di loro, dei partiti borghesi. Le trascorse elezioni politiche hanno avuto un esito per molti versi surreale, buona parte della stampa estera ancora si sta interrogando: come è stato possibile che le tre principali forze politiche si siano attestate in un sostanziale pareggio? Come è spiegabile che di queste tre, due siano organizzate attorno a clown (di mestiere uno, di fatto l'altro)? Come è possibile che il clown-grande-capitalista Berlusconi sia tornato in pista e che il PD abbia quasi perso, quando la sua vittoria sembrava scontata? Per poi passare ad interrogativi ben più sostanziali: come potrà l'Italia garantire le riforme di struttura necessarie a scongiurare il pericolo che il crollo di fiducia nell'economia italiana trascini con sé l'intera area-euro?

Innanzi tutto i flussi elettorali: chi ha vinto? Solo Grillo, che partiva da zero e quindi non poteva che migliorare. Infatti se confrontiamo i voti degli schieramenti rispetto alle precedenti elezioni politiche, vediamo come questi abbiano perso milioni di voti, mentre il progetto neo stalino-pacifista di rifondazione comunista, a vent'anni dalla sua nascita, è definitivamente naufragato trascinando con se anche l'ormai impresentabile partito di Di Pietro.

L'astensionismo, al contrario, si è solidamente attestato come “primo partito” con circa 10 milioni di aderenti contro gli 8,9 milioni voti del PD, primo partito alla Camera, con una manciata di voti di vantaggio sul M5S. Questo dato testimonia che da un lato sempre più si estende la sfiducia nelle istituzioni borghesi, il che è un bene, ma dall'altro evidenzia come, essendo nel frattempo assenti forme di lotta di classe nei luoghi di lavoro e nei territori, questi milioni di persone sembrano essere di fatto più vicine alla rassegnazione e all'individualismo che all'impegno collettivo nella lotta alle politiche delle classi dominanti, di conseguenza sono anche più difficilmente raggiungibili da noi, partito rivoluzionario.

Le forze in Parlamento

L'attuale composizione del Parlamento riflette la spaccatura che attraversa l'italica borghesia stracciona.

Vi è il partito grande borghese di Monti, Montezemolo e co. che, pur presentandosi come diretto rappresentante degli interessi della borghesia liberal-europeista, a causa delle sue politiche smaccatamente antipopolari, non è riuscito ad andare oltre il 10%.

Vi è poi il PD che, in chiave democratico-europeista, non intende rompere definitivamente con quella tradizione di sinistra (e quel tessuto sociale intelletual-imprenditoriale) dal quale proviene, ma dove fa sempre più fatica a riconoscersi. Questa contraddizione è personificata dal rottamatore liberal-democratico Renzi che, non a caso, in molti vorrebbero alla guida del partito. Il PD è andato alle elezioni convinto di dover governare, ha fatto poche promesse perché sapeva: chiunque avesse vinto, una volta al governo, avrebbe dovuto tagliare, tagliare, tagliare (Bersani: “solo un insano di mente potrebbe aver la fregola di voler governare oggi”). Ma ora, come era facile prevedere, si ritrova con il cerino in mano, senza una maggioranza stabile al Senato, nell'impossibilità di formare da solo un governo. Per farlo potrebbe rinunciare a parte del suo costoso apparato, accontentando così un po' i grillini, ma sembra difficile. Vedremo. Sta di fatto che il PD ha oggi l'opportunità storica di chiudere una volta e per tutte i conti con Berlusconi: varando la legge sul conflitto di interessi e votando per la sua ineleggibilità (il M5S lo seguirebbe subito) piazzerebbe la stoccata vincente. Ma non lo farà: troppi sono i legami che tengono insieme il PDL e il “PDmenoL”, come la polemica Travaglio-Grasso di questi giorni, per l'ennesima volta, dimostra.

Vi sono quindi le facce pulite dei Cinque Stelle. Loro sono stati notevoli nella capacità di cavalcale il malcontento di un ceto medio e di una piccola imprenditoria sempre più esasperati e terrorizzati dal pericolo di sprofondare nelle condizioni e nel tenore di vita del proletariato. Il populismo grillino è stato capace di dare vita ad un mix di ambientalismo, democrazia diretta, liberismo, lotta ai costi dello Stato ed alla corruzione, che risponde in larga parte alle istanze da bar della pubblica opinione (borghese) e agli interessi del suddetto ceto medio. In questo modo sono stati capaci di accaparrarsi i voti di ingenti settori di classe operaia, circa gli stessi che, sempre per protesta, negli anni '90 e '00, si erano rivolti alla Lega. Come risultato, comunque, il M5S otterrà, probabilmente, una certa riduzione dei costi della politica, un maggiore liberismo e forse qualche progetto energetico-alternativo. Se dovessero riuscire, il grande capitale li ringrazierà per essere riusciti laddove la “politica normale” non era riuscita nemmeno nel post-tangentopoli: l'adeguamento dei costi dello Stato alle esigenze della crisi. Per i proletari non cambierà nulla, se non in peggio.

Poi c'è Berlusconi-sempre-in-piedi, multimilionario in perenne fuga dai suoi processi, ormai l'ultimo a difendere con ostinata perseveranza la crociata contro il comunismo-padre-di-ogni-male, e capace, durante i comizi, di lasciarsi andare a scenici “saluti romani” e a mimiche mussoliniane. La borghesia più truffaldina lo segue in ordine sparso, arraffando a destra e sinistra dove e quando può, mentre i posti di quelli che finiscono in galera vengono occupati dalle nuove leve, e via andare.

Finora è sempre riuscito nel suo obiettivo più importante: salvarsi e rinviare a tempo indeterminato la data della fatidica condanna. La borghesia più becera, i palazzinari, la mafia imprenditoriale e gli speculatori avventuristi lo ringraziano, sanno che, finché ci sarà lui, anche a loro sarà garantita una certa libertà d'azione, alla luce del sole.

Chiunque governerà lo farà con l'accetta in mano

Insomma quello emerso dalle ultime elezioni è un circo nel quale le varie frange della borghesia italiana si scontrano per decidere chi dovrà pagare il sovrapprezzo. Si, solo il sovrapprezzo, perché il conto vero e proprio sanno tutti chi dovrà pagarlo, come spiegare altrimenti tutto questo panico per l'assenza di un governo? Il Belgio ci insegna che, in determinate condizioni, si può stare mesi e mesi senza governo, vedendo addirittura la propria economia crescere... In altre condizioni, però, un governo è necessario ed urgente. Quali sono queste altre condizioni? Le nostre naturalmente. La borghesia internazionale, con la Confindustria, chiedono infatti all'Italia, pena l'essere trascinata nella sfiducia dei mercati, di dare urgentemente vita a riforme di struttura per rilanciare la produttività. Tradotto in soldoni: tagli allo stato sociale ed alla spesa statale, aumento della flessibilità nell'uso della forza lavoro, salari calmierati e collegati alla produttività anche nel pubblico impiego (meritocrazia), taglio del personale della pubblica amministrazione. Il grillismo, da questo punto di vista, rappresenta un po' la coscienza della bugiarda borghesia italiana. Come nella fiaba, questa, per diventare una “borghesia vera” dovrà rinunciare a molti dei suoi comportamenti più licenziosi... e bastonare a più non posso il proletariato. Nel frattempo il governo Monti continua a legiferare.

Lotus 1 aprile 2013

giovedì 7 febbraio 2013

QUALI PROSPETTIVE?


Stato sociale. Sfogliamo i giornali ed iniziamo ad annotarci un po' di dati riguardo gli investimenti pubblici nelle seguenti voci: scuola, sanità, assistenza ai disabili, agli anziani, ai minori, trasporti, pensioni. Ne esce fuori un quadro omogeneo e coerente di come le classi dirigenti stiano portando i colpi finali al complessivo smantellamento di quello “Stato sociale” che per decenni abbiamo finanziato con la tassazione dei nostri salari. Hanno oggi un bel riempirsi la bocca di “reddito di cittadinanza” i ricconi che in tv ci chiedono un voto, questa misura sarà – se sarà... – infatti l'ultima manciata di spiccioli che getteranno nel cappello di un proletariato sempre più piegato dalla disoccupazione, dalla precarietà e dalla costante perdita di potere d'acquisto, al solo scopo di cercare di evitare che la situazione degeneri in termini di conflittualità.
Maschere. Se, in tempi di espansione economica, le classi dominanti hanno potuto permettersi di sostenere l'espansione dei servizi, di garantire un sempre accesso alla cultura ed all'assistenza, illudendo la “cittadinanza” che lo sviluppo del capitalismo avrebbe profuso a piene mani istruzione, salute, benessere e... perché no, partecipazione. Ora, nella sua attualecrisi, il Sistema getta la maschera e si svela per ciò che intimamente ed essenzialmente è: un Sistema volto a garantire lo sfruttamento della maggioranza a vantaggio di una esigua minoranza.
Costituzione. È inutile che benpensanti di sinistra provino a coprire le vergogne del capitalismo con la foglia di fico della Costituzione: le tante belle – in apparenza – parole edintenzioni che riempiono quei 139 articoli sono lì apposte al solo scopo di dissimulare la realtà del Sistema economico e sociale che le sottende: un sistema che si nutre di sfruttamento e della nostra miseria crescente.
Un quadro. Il sistema nazionale di formazione ed istruzione sta venendo, semplicemente, ridisegnato. È italico costume che questo avvenga a botte di piccoli o grandi aggiustamenti successivi. Ciò che è importante, però, è il quadro finale al quale il disegno complessivo tende ossia un sistema formativo ridotto ad ente territoriale in balia dei privati, dispensatore di una cultura minimale, i cui i docenti siano ridotti al minimo indispensabile, in largo numero precari, scarsamente retribuiti e solidamente controllati da una rigida gerarchia interna. Un sistema di formazione che costi poco allo Stato e che “produca” in uscita una forza lavoro flessibile e ricattabile, da utilizzare o meno – a seconda dell'andamento del mercato – ma comunque a costi sostanzialmente ridotti. A grandi linee questo è il progetto, questo è un tassello della barbarie che le classi dominanti ci stanno preparando, poi ogni settore traccerà il suo di quadro, forse, diverso nella forma, ma, sicuramente, identico nella sostanza. Questo è la meta di degradazione umana alla quale ci sta conducendo la decantata “civiltà borghese”.
Chi ha aperto la strada all'attuazione di questo disegno? Nella scuola, naturalmente, il PD di Berlinguer, con la legge n° 59/97; la Moratti e la Gelmini non hanno dovuto fare altro che dare il loro apporto (riordino dei cicli e riduzione del personale) al progetto generosamente avviato dal primo governo di centro-sinistra, con il generoso appoggio della CGIL, governo che non mancò di aprire la strada “delle riforme” anche in altri settori come pensioni, precarietà ecc.
Organizzarsi. Lottare certo, con ogni mezzo, ma con la chiara coscienza che, se anche momentaneamente possiamo vincere su questo o quel punto (e sarà molto, ma molto difficile), ogni vittoria è effimera e destinata a sfumare se la società continua ad essere divisa in classi sociali. La mobilitazione è oggi vitale al fine di far maturale nei colleghi, nei genitori, negli utenti, la coscienza che il Sistema di classe nel quale viviamo è irriformabile nella sua sostanza e per questo motivo assumerà sempre più importanza e peso la lotta politica per spazzarlo via e sostituirlo con una reale alternativa: il Comunismo.
Alle avanguardie di lotta più coscienti, ai militanti più attivi, ci rapportiamo ponendo al centro la necessità di organizzarsi e lavorare per la costruzione di un solido punto di riferimento strategico, politico ed organizzativo: il partito comunista internazionalista.

domenica 20 gennaio 2013

Maledetto concorso!

giovedì 20 settembre 2012

ristrutturazione sistema formativo

Facciamo il punto sulla riforma della scuola.


Nel vortice di crisi, tagli, privatizzazioni, concorsi, truffe...
Lavoratori della scuola e studenti, non perdiamo di vista l'essenziale

Un concorso che coinvolgerà almeno 250 mila persone con un costo di 150 milioni di euro per assegnare 11.892 posti vacanti. A questo ne succederà probabilmente un secondo che potrebbe venir gestito scuola per scuola e rappresentare il prodromo all'assunzione diretta dei docenti da parte dei presidi. Il concorso è, di fatto, una mega lotteria – in linea con i tempi – la quale si ripeterà ogni due anni: metà dei posti disponibili verranno assegnati attingendo alle Graduatorie Ad Esaurimento, l'altra metà attraverso il concorso. “Così - proclama la retorica del Ministero - verrà data una possibilità sia ai precari più o meno storici, sia ai neo abilitati”. Eccolo il loro concorso: un pugno di neo abilitati ed un pugno di precari “storici” verranno immessi in ruolo ogni due anni. Gli altri rimarranno precari o disoccupati. Naturalmente per i giovani non abilitati non vi è nessuna possibilità di accesso. Grazie.

Adesso cerchiamo di andare oltre il concorso-truffa e proviamo a sviluppare un ragionamento più ampio. Se Berlinguer nel 1996 ha posto le premesse affinché il sistema formativo potesse essere progressivamente “alleggerito”, è stata la Gelmini nel 2008, fatto riconosciuto anche dal ministro Profumo, ad avviare il vero processo di ristrutturazione del sistema scolastico italiano, adeguandolo alle esigenze sempre più fameliche del capitalismo in crisi.
La riforma (taglio) della scuola risponde a tre esigenze fondamentali: 1) tagliare i fondi per la formazione per dirottarli a favore delle imprese (produttività e competitività); 2) ridurre il costo della formazione della forza lavoro abbassandone così il valore e, quindi, i salari; 3) aprire nuovi mercati all'interno dei quali i privati possano speculare (il mercato della formazione).
Tagliare la scuola è tagliare il salario, tagliare salario è ridurre il costo del lavoro, la riduzione del costo del lavoro è l'unica strada che il capitale conosce per affrontare le sue crisi strutturali.
La scuola è salario indiretto, è cioè finanziata attraverso la quota parte del salario che, sotto forma di tasse, affluisce alle casse dello Stato. Ma il taglio al sistema formativo e la sua conseguente ristrutturazione, se, dal punto di vista capitalista, apportano innegabili vantaggi, portano anche con sé due tipologie di svantaggi: uno scarso livello di competenze per chi completa il percorso formativo e una grande massa di lavoratori della scuola in esubero.
Il primo aspetto è il riflesso della concentrazione che è caratteristica del capitale: si vengono a formare alcuni poli di eccellenza che attraggono la maggior parte dei capitali mente, il resto, viene ridotto a tabula rasa. È il modello anglosassone (dove è assente il valore legale del titolo di studio) dove alcune istituzioni formative (ai vari gradi) che sfornano i quadri elevati, i tecnici di alto e medio livello, la futura classe dirigente, sono circondate da migliaia di istituti-ghetto incapaci di far fronte alle contraddizioni sociali che con forza sempre maggiore in esse si riversano, sostanzialmente prive di fondi, abbandonate a se stesse, si riducono a fornitrici di forza lavoro a basso prezzo. Tra questi due estremi tutte le situazioni intermedie che permettono, ancora, a questa polarizzazione di non divenire incontrollabile. Il progetto di privatizzazione della scuola pubblica, seguendo il modello USA, si pone questo obiettivo. La “ex Aprea” (P.d.L. 953) attualmente in discussione nella VII commissione parlamentare (presieduta da un PD) ha come pilastri: le privatizzazioni, l'aziendalizzazione attraverso l'abolizione di fatto dei decreti delegati, l'autonomia statutaria e l'ingresso dei finanziatori privati negli organi di governo della scuola: buoni affari per i privati che vogliono investire, un sistema scolastico pubblico disastrato sotto ogni aspetto.
Il secondo aspetto (esuberi di massa) è stato affrontato con l'unica modalità possibile: dividi et impera. Va considerato che l'uragano che si è abbattuto negli ultimi 5 anni sulla scuola ha significato: il taglio di 8,5 mld di euro di finanziamenti (e 1,5 all'università), la soppressione di 150.000 posti di lavoro, l'accorpamento di centinaia di istituti, la soppressione degli scatti di anzianità, il blocco dei contratti, l'innalzamento dell'età pensionabile, il dimezzamento dei fondi per gli appalti delle pulizie e la riduzione dei fondi per le mense, l'ulteriore taglio di 3000 “inidonei” attraverso la spending review e l'edilizia scolastica che versa in condizioni pietose (quasi 30.000 gli edifici definiti “a rischio”).
Una situazione che, chi vive la scuola lo sa, tocca punte di drammaticità come le classi-pollaio, l'inadeguatezza degli edifici alle norme di sicurezza, il quasi azzeramento dei fondi per i sussidi didattici, il ridotto numero di insegnanti di sostegno, tecnici, assistenti comunali, la divisione degli alunni nelle aule in mancanza di supplenti, la passivizzazione del docente, straordinari obbligatori per gli ATA etc.
Dividi et impera. Primo, con l'autonomia, la riforma Gelmini e il decreto Brunetta, è stato progressivamente tolto potere ai collegi docenti potenziando la figura del preside-manager (dirigente); secondo, con una oculata politica di non immissioni in ruolo (anche attraverso l'estensione dell'organico di fatto rispetto a quello di diritto) si è gonfiato a dismisura il contingente dei docenti e ATA precari, poveretti pronti a tutto pur di arrivare all'ambito “ruolo”; terzo ci si è guardati bene dal non unificare tra di loro i precari mantenendo un complicatissimo sistema di percorsi abilitanti e reclutamento (ulteriormente complicato dal concorso) che mette gli uni contro gli altri i precari di “tipologia differente”; quarto, i tagli hanno pesato molto di più al sud, favorendo il reazionario disprezzo per il “meridionale emigrante” da parte dei lavoratori del centro-nord; quinto, si è indetto questo concorso lotteria che ha il solo scopo di aggiungere caos al caos e distogliere gli interessati dal problema reale: i tagli frutto della crisi del capitale.
Il concorso è una truffa bella e buona ideata esclusivamente per mettere le nuove generazioni in concorrenza con le vecchie, per illuderle riguardo la possibilità di una loro futura messa in ruolo. Proprio come i gratta e vinci ci illudono di poter diventare ricchi nonostante siamo poveri in canna, così, col concorso, 1 su 25 vince: “potresti essere tu!”. Ma in Europa il numero dei proletari a “rischio povertà” ha già raggiunto i 116 milioni e nessuna lotteria potrà migliorare la loro situazione.
Questi cinque passaggi possono anche non essere stati frutto di un disegno ragionato di un settore della borghesia, sta di fatto che descrivono con esattezza ciò che è successo negli ultimi anni e – insieme ad argomenti di carattere politico, ideologico e storico – segnano alcuni dei motivi dell'assenza di una reale risposta di lotta.
In questo quadro catastrofico c'è chi ha agito praticamente per far si che quello che una volta era solamente il sogno di settori particolarmente reazionari di borghesia italiana diventasse realtà (PDL, PD, Lega...), chi ha fatto finta di opporsi ma, nei fatti, con la sua studiata passività si è reso complice (CGIL) e chi ha cercato di opporsi ma, a causa del suo DNA che lo porta a tutelare innanzitutto il proprio interesse di struttura, poi, forse, quello dei propri iscritti e mai quello dei lavoratori in genere non è riuscito in nulla di significativo (Sindacalismo di Base).
I lavoratori della scuola, in futuro, potranno diventare un elemento importante della contrapposizione capitale/lavoro, favorendo il dispiegarsi di lotte vere, ma questo a patto che – in almeno alcuni suoi settori d'avanguardia – partano dal riconoscimento di questa contraddizione come madre di tutte le strategie che il capitale sta conducendo al fine di far fronte alla sua crisi strutturale, e che assumano proprio la contraddizione capitale/lavoro come punto di partenza di una strategia rinnovata che li tiri fuori dalle secche nelle quali, periodicamente, si sono andati ad incagliare.
Vogliamo ora riassumere i cardini di questa strategia:
  • La ristrutturazione in atto del sistema formativo italiano risponde alle esigenze del capitale in crisi. È imprescindibile che nei momenti di mobilitazione venga affermato con forza che lottare contro i tagli alla scuola significa lottare contro il capitalismo stesso che li ha generati, contro la sua crisi, per sostenere l'unica alternativa risolutiva concretamente perseguibile: la necessità dell'affermazione di un nuovo modo di produrre e distribuire i beni, il socialismo, quello vero.
  • Al fine di unificare il fronte di lotta è necessario da un lato non lasciare spazio ad istanze particolaristiche di questo o quel settore di lavoratori della scuola (ulteriormente alimentate dal concorso) affermando con forza che tutti i lavoratori della scuola in tutte le loro componenti (precari e stabili, abilitati e non, insegnanti, ATA e lavoratori delle ditte appaltatrici che lavorano nella scuola, genitori e studenti proletari che vivono la crisi sulla loro pelle) devono unirsi in un unico fronte di denuncia dei tagli, di lotta contro di essi e contro il sistema che li ha generati.
  • Nessuno spazio deve essere lasciato alle logiche elettoralesche, all'ipotesi di utilizzare o recuperare alla lotta quegli organismi che si sono resi, con la loro studiata passività, pienamente corresponsabili della “riforma”: PD e CGIL, o che, tutti assorti nella ricerca di legittimazione da parte dell'istituzione, hanno sistematicamente tradito gli interessi generali dei lavoratori: il sindacalismo di base. Ugualmente non deve essere lasciato spazio alla difesa della costituzione che, tutta ispirata alla difesa dell'interesse borghese, legittima legalmente la ristrutturazione in atto e, con la riforma del titolo quinto, ha oltretutto sancito la legalità del finanziamento pubblico alle scuole private.
  • La via dell'opposizione alle politiche in atto passa attraverso la costituzione di comitati di lotta dal basso, retti dalla democrazia diretta e volti ad unificare le lotte andando a saldarsi con la mobilitazione di tutti gli altri settori proletari che combattono contro le medesime conseguenze della crisi del capitale in termini occupazionali, di condizioni di lavoro, di taglio dei servizi etc. contro le quali si battono i lavoratori della scuola.
  • La messa al centro del dibattito politico della necessità di superare il capitalismo, l'affermazione di un socialismo che nulla ha a che vedere con la tragedia staliniana e maoista, passa attraverso la ricostruzione di uno strumento politico, il partito comunista, attorno alla quale invitiamo al confronto, alla partecipazione, all'impegno, tutti quei lavoratori che sono stufi di chi vorrebbe realizzare l'impossibile: combattere i mali del capitalismo fermo-restando il capitalismo stesso.

lunedì 21 marzo 2011

Politiche sociali sotto attacco



“politiche sociali” sotto attacco…



Dopo che per anni e anni la situazione ha continuato ad andare di male in peggio, oggi, il governo ha, fondamentalmente, messo la parola fine sulle politiche sociali finanziate dallo Stato. Il progetto è in linea con le direttive europee per la liberalizzazione dei mercati, come la direttiva Bolkestein: in questa economia di crisi lo Stato deve progressivamente ritirarsi per lasciare spazio al mercato, ai pescecani del privato e alla loro capacità di generare profitti, profitti ben più preziosi del benessere di centinaia di migliaia di assistiti e lavoratori.


Quanto ha intenzione di spendere lo Stato nei prossimi anni per le politiche sociali? Andiamo a vedere i fondi passati, la legge di stabilità per la la spesa nel 2011 e la previsione per gli anni 2012 e 2013:


Anno

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Stanziamento Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (L.328/'00) in mln di euro

992

881

556

825

788

698

579

435

274

70

45


Da qui a tre anni le politiche sociali, per come le abbiamo conosciute, saranno cancellate.



Il sistema è in crisi: dalla Tunisia allo Yemen migliaia di proletari si mobilitano mossi dalla disoccupazione e dal caro vita, dal Wisconsin alla Germania gli stati nazionali stanno selvaggiamente tagliando sussidi sociali, salari e tutele, dal Giappone all'Atlantico la devastazione ambientale è la logica conseguenza della ricerca forsennata di profitti per sostenere un economia globale in fase terminale: quello che succede anche da noi. Stanno giocando al massacro sulla pelle nostra e degli utenti, per sostenere la crisi del loro sistema: del capitalismo.



MA IL FUTURO NON E' STATO ANCORA SCRITTO




SE. Decenni di gestione sindacale del conflitto e di amministrazioni di sinistra hanno ottenuto l'obiettivo di spezzare l'unità e la capacità di lotta proletarie.


SE. La destra ha avuto gioco facile ad affondare il coltello laddove la sinistra aveva preparato il terreno a livello normativo e di demoralizzazione.


SE. Per quanto demoralizzati e disorganizzati è solo in noi stessi, nella nostra capacità di organizzarci collettivamente, che possiamo trovare la forza per reagire.


SE. Quanto abbiamo patito fino ad oggi, purtroppo, non è nulla rispetto a quanto stiamo per affrontare nel prossimo futuro in termini di sacrifici e difficoltà.


ALLORA. Non illudiamoci che sia pacificamente possibile tornare a una realtà “normale” dove si lavora e si viene pagati “il giusto”, dove i figli hanno la possibilità di avere una vita più serena e ricca dei loro genitori. Non illudiamoci.


Unica realtà possibile, da ora in avanti, è la lotta e questa deve essere fatta bene se vuole ottenere il più grande risultato al quale può aspirare: la generalizzazione del conflitto, l'allargamento dell'organizzazione, il rovesciamento definitivo del sistema (e solo se saremo solidi e coerenti su questo percorso, magari, strapperemo strada facendo qualche briciola economica per noi e per i nostri utenti nel tentativo, illusorio, di tenerci buoni, compatibili e controllati).


RICORDA. I dirigenti hanno interesse a muoversi per tenere in piedi le strutture, per conservare privilegi, prestigio e potere, i lavoratori hanno interesse a vivere dignitosamente.


I padroni hanno interesse a far crescere l'economia, i lavoratori hanno interesse a distruggere l'economia che cresce grazie al loro sfruttamento.


I politici di destra hanno interesse a dividerci, noi abbiamo interesse a essere uniti, tutti i lavoratori, aldilà delle categorie e del paese di origine.


I politici di sinistra hanno interesse a farci credere che il sistema può essere più giusto se... noi abbiamo interesse a dimostrare che questo sistema non sarà mai “giusto”.


I sindacalisti hanno interesse a gestire il conflitto per essere legittimati come nostri rappresentanti nella contrattazione, noi non abbiamo nulla da contrattare, perché la dignità non si contratta, e se proprio qualcuno dovrà mediare saranno i delegati scelti nelle nostre assemblee di lotta e che alle nostre assemblee di lotta rimetteranno il loro mandato.


Ma, sopratutto, RICORDA, loro faranno di tutto per sedarci, controllarci, dividerci, rappresentarci... noi non ci faremo prendere per il naso perché siamo coscienti che la lotta che inizia oggi non avrà ragione di cessare fino a che loro non avranno più ragione di esistere.


E' ora di iniziare a lottare contro il capitale.


lavoratrici e lavoratori internazionalisti



Solidarietà ai lavoratori sociali


sosteniamo la vostra lotta! Rompiamo il muro!


Anni 90

Raccolta di immagine sulla militanza che, negli anni '90, svolgevamo nei Gruppi di Lotta Proletaria


domenica 19 dicembre 2010

carnevale a montesanto - napoli?

Di seguito una mail che ho inviato agli organizzatori del carnevale a Montesanto. Per 5 anni ho partecipato alla sua organizzazione, oggi, abitando a Roma, diventa più difficile... ma spero che anche quest'anno la tradizione prosegua. Per vedere i carnevali passati il sito è www.parcosocialeventaglieri.it

Forza, sia mai che il carnevale riesca anche quest'anno a decollare...
magari sulle ali del movimento di opposizione alla riforma, ai tagli,
alla crisi!
Siamo partiti dal campetto di pallone come rampa di lancio per arrivare
fino allo spazio intergalattico, poi siamo tornati sulla terra, tra i
continenti del mondo, e qui "amm'vist a mala parata!" abbiamo sentito il
bisogno di cercare un punto di partenza e lo abbiamo trovato in rosarno.
Ora che la crisi sta infiammando il mondo e, anche qui da noi, sembra
che qualcuno si sia scetato... sarebbe un vero peccato interrompere
questa mirabolante e sovversiva avventura.
Fosse anche solo per portare nel quartiere e nella città, con la
scanzonata, sgangherata e spesso irriverente allegria che ci
contraddistingue, un contributo piccolo e semplice: tremate, perchè il
gigante sta per svegliarsi. Mobilitatevi, perchè il gigante siamo noi!
un grosso bacio a tutti.

sabato 18 dicembre 2010

Da Londra a Roma infiamma la protesta giovanile contro i tagli, contro la crisi


http://www.leftcom.org/files/images/2010-12-14-roma-02.preview.jpg

Riflessioni sul movimento studentesco

Sarebbe riduttivo e stupido affermare che gli scontri sono stati opera solo di black-bloc e/o poliziotti infiltratisi nel corteo. La verità è molto più semplice delle dietrologie pacifiste o di destra che siano: a tre anni e mezzo dall’esplosione della crisi, i giovani si rendono sempre più conto che a loro non è riservato nessun futuro, che saranno loro a pagare i costi di una crisi che non hanno prodotto, che non c’è nessun soggetto politico o sindacale capace di rappresentare le loro istanze. Essendo questa la sensazione generale tra gli studenti, è evidente che quando gli “estremisti” sono arrivati in piazza col chiaro intento di “alzare il livello dello scontro”, in pochi se la sono sentita di affermare che poi avessero tutti i torti, in pochi hanno potuto evitare di constatare che due ore di guerriglia, un centinaio di feriti, ventitré arrestati sono ben poca cosa se confrontati con la violenza che tutti i giorni questo sistema decadente produce in termini di oppressione, precarietà, licenziamenti, disperazione, miseria e guerre; non c’è poi quindi da meravigliarsi se tra questi giovani incazzati una parte si sia spinta fino ad unirsi agli scontri con le “forze dell’ordine”.

Piazza del Popolo ha offerto uno spaccato esatto dello stato politico della gioventù proletaria e piccolo-borghese odierna:

  • L’ala più moderata, in qualche modo legata a realtà istituzionali, ed opportunista (Uniti contro la crisi-disobbedienti) ha ancora un grosso peso, in particolare dal punto di vista organizzativo, sebbene i loro contenuti politici fatti di ridistribuzione del reddito e di compromessi con le forze parlamentari, di anno in anno, si dimostrano sempre più parole al vento.
  • La grande massa degli studenti completamente allo sbando, privi di un legame con le tradizioni politiche del passato, incapaci di costruirsi una propria identità, intimamente spaventati per un futuro che appare sempre più nero.
  • La componente classista nel movimento è estremamente minoritaria e molto spesso non ha il coraggio di esprimersi. Inoltre, molti ragazzi e gruppi organizzati, pur avendo una base di per sé classista, spesso la reprimono nella pratica politica quotidiana, adattandosi alla situazione anziché cercare di spingere per una crescita in senso classista della protesta. Salutiamo con piacere il tentativo di alcuni studenti di uscire dall’ambito studentista, di cercare sponda e interesse nelle realtà del lavoro. L’auspicio è che questi pochi episodi si generalizzino e maturino ancora di più in senso classista.
  • Le frange dell’“estremismo di sinistra» italiano, composte da ex-neo-vetero-post-autonomi, qualche ultrà, pochi stalinisti e anarchici. Questi — sebbene più avvezzi a ragionare in termini di classe ed anticapitalisti — hanno dimostrato, ancora e per forza di cose, la loro incapacità a sviluppare una coerente analisi del presente e, sopratutto, ad avanzare un credibile progetto per il superamento rivoluzionario del capitalismo.

E’ in particolare quest’ultima area che il 14 si è imposta e, attraverso l’unica modalità di praticare il conflitto e la piazza che conosce, ha cercato di dare il suo contributo alla “ripresa della conflittualità antagonista” in Italia.

Ferma restando la solidarietà incondizionata che rivolgiamo ai ventitré arrestati e ai ragazzi feriti, ci teniamo a sviluppare alcune riflessioni utili all’ulteriore e positivo sviluppo del movimento di opposizione ai tagli e alla crisi.

  • Le parole d’ordine che in prevalenza il movimento esprime sono inadeguate: non basta essere contro Berlusconi e i suoi ministri, contro le forze della repressione borghese e contro la polizia. Il problema è molto più ampio. Ciò che le piazze dovrebbero esprimere è la necessità che il conflitto si estenda innanzi tutto nei luoghi di lavoro, fuori e contro la logica sindacale. La prospettiva che il movimento si dovrebbe dare è quella del superamento del capitalismo e delle sue crisi, la prospettiva del comunismo.
  • Serve a poco manifestare davanti al parlamento quando questo è solo il comitato che difende gli interessi della classe dominante: il movimento dovrebbe porsi con maggior forza il problema di andare alle periferie, di coinvolgere i proletari che sono colpiti dalla crisi per sviluppare quella lotta di classe, a partire dai luoghi di lavoro e dal territorio, che sola potrà mettere in discussione il capitalismo e la sua crisi.
  • Non è attraverso la pratica dello scontro di piazza in sé — come dell’anti-fascismo militante — che si innalza il livello di coscienza di classe, bensì denunciando lo sfruttamento, i tagli e la violenza, come unica modalità attraverso la classe dominante risponde ai problemi generati dalla sua crisi.
  • Fino a che non sarà chiara la prospettiva della lotta di classe e della necessità di superare il capitalismo ogni forma di conflitto, compreso lo scontro con le forze dell’ordine borghese, non potrà che collocarsi in un’ottica di riforma del sistema. Dare vita a scontri violenti non significa di per sé essere rivoluzionari, ma può significare anche il solo porsi con mezzi violenti sul terreno della riforma (in veste radicale) del sistema, indipendentemente dalle intenzioni soggettive.
  • La violenza è immanente al sistema, ma una cosa è difendere un corteo, difendere una lotta, essere determinati a raggiungere un obiettivo dal significato politico anticapitalista — e in questo caso la “violenza” della piazza è condivisibile — , un’altra è dare vita a scontri per arrivare… simbolicamente sotto il parlamento.
  • In mancanza dell’intervento attivo dell’avanguardia comunista, la rabbia che ribolle confusa — non da ultimo tra le generazioni più giovani — le generose fiammate di rivolta, sono destinate a essere riassorbite-represse dal sistema, senza poter compiere l’indispensabile salto di qualità in senso anticapitalistico.

Noi comunisti internazionalisti siamo stati e saremo sempre nelle lotte per innalzare il livello della lotta di classe e della coscienza rivoluzionaria dei proletari… fino a che questo infame sistema non sarà superato una volta per tutte.

giovedì 9 dicembre 2010

LOTTA DI CLASSE ANCHE NELL’UNIVERSITÀ

Il presente documento è redatto da giovani internazionalisti, studenti e lavoratori, che ritengono necessario e urgente la maturazione in senso classista del movimento universitario.

Il mondo è nostro! Dobbiamo solo imparare a prendercelo.


  1. Gli studenti non sono una classe: la divisione in classi della società attraversa l’intero mondo studentesco. Gli studenti provenienti da famiglie di lavoratori, tra cui i molti che per mantenersi agli studi lavorano, non sono colpiti dalla riforma allo stesso modo degli studenti provenienti da famiglie borghesi o - genericamente – agiate. I primi subiscono totalmente le conseguenze della riforma e dei tagli: riduzione dei buoni mensa, delle case dello studente, delle borse-lavoro all’interno dell’università, etc., innalzamento delle rate periodiche, riduzione dei mezzi e delle risorse di cui dispone l’università pubblica, generale scadimento della didattica, progressiva difficoltà ad accedere ai percorsi di ricerca, ai dottorati, ai percorsi di abilitazione all’insegnamento. Gli studenti provenienti da famiglie borghesi, pur subendo i medesimi tagli, si distinguono in quanto la superiore disponibilità economica familiare permette loro di neutralizzare in larga parte gli effetti della riforma e dei tagli attivando le loro private risorse o, più semplicemente, grazie alla loro possibilità di scegliere percorsi formativi privati. Per questo, indipendentemente dalla provenienza sociale del singolo studente, la lotta deve essere di classe; ossia deve avere nel proletariato – e negli studenti provenienti da famiglie proletarie – il proprio referente.

  2. Contro i tagli, contro la crisi, contro il Sistema. La lotta contro la riforma è lotta contro i tagli, ovverosia contro una delle conseguenze maggiori della crisi del Sistema. L’opposizione ai tagli e alla riforma deve quindi essere lotta contro il Sistema che ha generato la crisi: il capitalismo. Questo passaggio, sebbene istintivamente avvertito da una parte del movimento, deve diventare sempre più esplicito e cosciente. Un altra cosa va sottolineata: la crisi non è una imprevedibile catastrofe o il riflesso di scelte irresponsabili da parte di politicanti, mercati o organismi internazionali; la crisi è l’inevitabile svolgimento delle contraddizioni del modo di produzione capitalista fondato sullo sfruttamento del lavoro da parte del capitale e sulla ricerca del massimo profitto possibile da parte del capitalismo stesso. Non esiste capitalismo senza crisi. I primi due cicli di accumulazione capitalista si sono risolti con le due guerre mondiali; siamo nella crisi del terzo ciclo: le soluzioni capitaliste sono, ancora, la nuova guerra e la barbarie.

  3. Il Sistema non è riformabile. Inquadrate socialmente, economicamente e storicamente cause e ricadute dei tagli/riforma, dobbiamo affrontare il livello politico nel quale il movimento si sta esprimendo. Va registrato che il piano immediato è quello del rifiuto della riforma, rifiuto accompagnato dalla denuncia di un futuro che viene percepito come negato. Il piano politico si spinge poco oltre, anche se non mancano piattaforme riformiste che vorrebbero rivendicare il ritorno dell’università ad un ruolo “realmente formativo”, che vorrebbero l’università come percorso funzionale all’accesso al mercato del lavoro (in una posizione migliore di quella dell’operaio generico), fino alla bufala che vorrebbe gli investimenti nell’università funzionali alla ripresa della competitività del capitalismo italiano sui mercati internazionali, e quindi ad un’uscita dalla crisi (come se la crisi fosse un problema nazionale e non il logico epilogo di un sistema produttivo giunto storicamente sull’orlo del baratro). Dobbiamo respingere fermamente ogni ipotesi riformista per almeno due motivi essenziali:

1) se nell’epoca storica dello sviluppo del terzo ciclo di accumulazione del capitale (1945 – 1971) è stato possibile, con forti lotte riformatrici, conquistare riforme che hanno migliorato le condizioni di parte della classe proletaria - attraverso la redistribuzione delle briciole dei lauti profitti che la borghesia incassava - oggi, nell’epoca della crisi conclamata del terzo ciclo (1971 - …), ogni riforma è funzionale allo strappare al proletariato le briciole che nei decenni aveva conquistato, a sostenere i saggi di profitto sempre più esigui che la borghesia sta incassando. Ogni riforma volta a migliorare le condizioni della classe sfruttata è oggi impossibile, ogni investimento deve avere una sicura e veloce prospettiva di rientro economico e significa, in ogni caso, l’ulteriore compressione delle condizioni della nostra classe (vedi Germania, dove l’aumento dei finanziamenti all’istruzione è bilanciato dal drastico taglio dei sussidi di disoccupazione e delle forme di sostegno al reddito per le fasce inferiori della società). Non possiamo rivendicare “un'altra riforma”, dobbiamo bensì “respingere i tagli, il peggioramento delle nostre condizioni e il sistema che li ha generati”. 2) Possiamo dire apertamente che con molta difficoltà il movimento riuscirà ad ottenere dei risultati e delle vittorie concrete, ma possiamo affermare con altrettanta sicurezza che la battaglia per “un'altra riforma” è destinata a sconfitta certa, e che la sconfitta porterà rassegnazione e scoramento. Dobbiamo prevenire e combattere la rassegnazione e lo scoramento che minacciano le sorti future del movimento! Per questo dobbiamo affermare che la battaglia di oggi (arrestare la riforma) possiamo vincerla o perderla, ma una sconfitta che lascerà sul campo una aggregazione di studenti determinati a proseguire la lunga e dura lotta contro questa infame e decadente società sarà molto più proficua, per le nostre sorti future, di una vittoria che vedrebbe, ancora!, insinuarsi tra le fila degli studenti il viscido e flaccido morbo dell’illusione riformatrice.

  1. Il sistema di istruzione pubblico riflette le esigenze formative del capitale. Un altro punto va affrontato ed è che la riforma è volta esattamente ad adeguare l’università al mercato del lavoro, ovvero alla disoccupazione di massa, alla precarietà, al lavoro scarsamente qualificato e poco retribuito. É quindi immediatamente evidente come la battaglia universitaria non possa essere isolata dalla generale battaglia proletaria contro i licenziamenti, la precarietà, i tagli ed il generale peggioramento delle condizioni di lavoro. È assurdo e ridicolo voler risolvere il futuro problema occupazionale degli odierni studenti pretendendo corsi che preparino realmente al mondo del lavoro, quando è, al contrario, la crisi di saturazione del mercato del lavoro - rispetto alle esigenze di valorizzazione del capitale - che ha spinto verso una significativa dequalificazione e impoverimento dei corsi universitari.

  2. Non siamo più negli anni ‘60. Negli anni ‘60 e ‘70 quando “anche l’operaio vuole il figlio dottore”, la società ha bisogno di nuovi quadri intermedi e, anche attraverso la contestazione del 1968, la piccola e media borghesia ottiene un’apertura agevolata delle università ai suoi figli. La società ancora in espansione può garantire un minimo di mobilità sociale e se ne giovano anche non pochi giovani provenienti dalle famiglie operaie. Nel corso degli anni ‘80 e ‘90 questa tendenza si inverte sotto la spinta delle modifiche strutturali conseguenti all’apertura della crisi e portatrice della precarizzazione del mercato del lavoro. Ecco che oggi l’università pubblica risponde alle nuove esigenze del mercato del lavoro con il suo progressivo depotenziamento, a tutto vantaggio delle università private dove i figli della borghesia possono tranquillamente accedere e continuare a formarsi. Tutto questo non significa che lottare è inutile, al contrario! La lotta è oggi tanto necessaria quanto è necessario inquadrarne correttamente i termini, le condizioni e gli obiettivi, al fine di uscire sempre più forti, e non più deboli, da ogni ciclo di battaglie.

  3. La pratica dell’assemblea. Se è vero che la rivoluzione non è un problema di forme di organizzazione, è altrettanto vero che 30 anni di più o meno continua e assordante pace sociale ci hanno fatto dimenticare anche le più elementari forme di organizzazione e comunicazione proprie delle lotte del movimento operaio. Tra tutte, quella che riteniamo centrale oggi è l’assemblea di piazza: i contenuti della lotta, le forme della mobilitazione, le modalità del conflitto devono essere discussi apertamente, al megafono, davanti a tutti. La pratica dell’assemblea, oltre ad essere un essenziale esercizio volto a riappropriarsi del potere del linguaggio e del confronto (e con essi del potere della riflessione critica e aperta), è anche una pratica che restituisce la leadership alla piazza sul movimento: è la piazza il cuore pulsante del movimento, il luogo dove le idee si devono incontrare e scontrare al fine di selezionare quelle più valide a dirigere il movimento stesso. La pratica dell’assemblea è uno strumento volto a delegittimare la gestione del conflitto da parte dei soliti leaderini autonominati. Questi infatti sono più preoccupati dalla visibilità mediatica del movimento, la quale nessun danno arreca al capitale, che dall’impatto concreto che questo movimento può avere a livello di danno al profitto, come attraverso il blocco merci e/o il coinvolgimento di altri proletari appoggiandone le lotte sui luoghi di lavoro. Ovunque sia possibile, è l’assemblea aperta, con interventi cronometrati e facoltà di contestazione, che ha il dovere di essere il luogo dove le idee di direzione della lotta si confrontano e si selezionano.

  4. O gli universitari saldano la loro lotta con quella dei lavoratori o sono condannati a sconfitta sicura. La crisi è più grande di qualsiasi movimento studentesco, ma è più piccola della carica sovversiva, sebbene ancora solo potenziale, insita nell’esistenza stessa della classe proletaria. Gli studenti si giocano la possibilità di sviluppare ulteriormente il movimento sulla loro possibilità di essere parte e stimolo del/per la classe lavoratrice. Sia detto chiaramente: i lavoratori sono attualmente frammentati, soffocati dalla cappa e dal disorientamento prodotto dai sindacati (grandi e piccoli), sottoposti a gravi ricatti, demoralizzati da decenni di sconfitte (ancora grazie ai sindacati, tutti!), privi di punti di riferimento, incapaci di riconoscersi come classe. Eppure è là che riposa il potenziale capace di arrestare questa riforma, questi tagli, questa crisi, questo sistema! Il proletariato è quello che produce e fa muovere ogni cosa che ci circonda, è questo il gigante che si deve svegliare e che può rappresentare la forza materiale capace non solo di arrestare i tagli, le riforme, le guerre che questo sistema produce, bensì di sovvertire il sistema medesimo ed il suo portato di miseria, guerra e morte.

  5. Gli universitari devono sostenere il protagonismo proletario. Gli studenti hanno oggi la possibilità di svolgere una funzione storica essenziale per il risveglio della classe lavoratrice. Lo dicano chiaramente nei cortei, con gli striscioni, nei quartieri, davanti alle fabbriche, agli uffici, ai luoghi di lavoro, alle agenzie interinali, ai call-center...: “Noi studenti abbiamo iniziato a mobilitarci, ma senza i lavoratori il nostro movimento è nulla. Dobbiamo lottare uniti contro la crisi, per il nostro futuro, per la di fesa dei nostri comuni interessi, in quanto appartenenti alla stessa classe sociale: il proletariato! I lavoratori si sveglino, rompano i lacci legali e sindacali che li tengono incatenati, si scuotano dal torpore ed inizino a lottare veramente! Troverete in noi studenti un alleato pronto e determinato”. Si invochi lo SCIOPERO GENERALE AD OLTRANZA come prima rivendicazione in ogni corteo, assemblea, mobilitazione. Se gli studenti si isolano nelle univesità hanno perso; se gli studenti riescono ad avere un ruolo di stimolo e collegamento per i lavoratori allora il potere dei padroni avrà motivi per iniziare a tremare. Il terreno di convergenza è la lotta proletaria “contro i tagli, contro la crisi, contro il sistema che la ha generata”.

  6. Alle periferie! Anche per questo è importante che il movimento cominci ad andare alle periferie, bisogna iniziare a dialogare con chi sta subendo più degli altri le conseguenze della crisi economica: i proletari delle periferie. Se il centro cittadino è ormai la cittadella dei padroni e dei loro palazzi-simbolo (Montecitorio...), sono le periferie il nostro referente naturale, i luoghi dove vivono gli appartenenti alla nostra stessa classe, i luoghi dove la presenza criticamente stimolante, sovversiva e assembleare degli studenti può fare più paura. La presenza degli studenti proletari nelle periferie e davanti ai luoghi di lavoro fa paura ai padroni a causa della sensibilità delle periferie e dei lavoratori ai temi dei tagli, della crisi etc... i proletari di periferia sono abbandonati a loro stessi, privi di risposta politica ai loro problemi, è qui che gli studenti possono svolgere quel ruolo di collegamento, stimolo, unione, radicalizzazione delle lotte proletarie che, in parte, è già stato loro negli anni ‘70. Naturalmente per realizzare questo gli studenti devono iniziare a muoversi come proletari contro il sistema, e non più come studenti per l’università pubblica.

  7. Noi siamo il futuro! Diceva, giustamente, Marx nel Manifesto del partito comunista “Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più. [...] Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico torna ad essere spezzata ogni momento dalla concorrenza fra gli operai stessi. Ma risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più potente.Il più grande risultato al quale una lotta può aspirare, e noi con essa, è la crescita della compagine organizzata intorno al programma comunista che in essa si esprime: la progressiva organizzazione del proletariato in classe, ovvero in partito politico. I proletari dell’università devono e possono avere un ruolo di punta in questo processo! La progressiva organizzazione dei proletari in partito di classe è al contempo il più alto risultato che la lotta universitaria può perseguire e la premessa necessaria al fine di superare la crisi del capitalismo. L’unica alternativa alla crisi e alla guerra è, infatti, il socialismo. Noi siamo il futuro: avanti!

Lavoratori e studenti internazionalisti

amicidispartaco@email.it

www.internazionalisti.it

giovedì 25 novembre 2010

A proposito delle proposte di legge relative al riordino dei percorsi di abilitazione e di reclutamento.



Sto frequentando il comitato precari scuola di roma, i quali mi hanno chiesto di scrivere un articolo sul reclutamento. questo è un "papiellone" dal quale verrà estratto l'articolo. buona lettura... in attesa di commenti.

Introduzione Nel lavoro di studio volto a comprendere come si configureranno i percorsi di formazione, abilitazione e reclutamento dei futuri insegnanti, ci siamo immediatamente imbattuti in difficoltà legate al significato da attribuire ai regolamenti ed alle proposte attualmente in discussione nelle aule parlamentari.

Quale presa di posizione dei precari della scuola – abilitati e non, con l’attenzione rivolta anche a quanti si abiliteranno in futuro - rispetto alle nuove norme che regoleranno l’accesso o meno, la permanenza o meno, alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca?

La crisi. Non potevamo prendere una posizione corretta, se non collocando il fenomeno in oggetto – la ridefinizione del reclutamento e dei percorsi abilitanti – all’interno del quadro che l’erompere della crisi va determinando.

Anni di crisi strisciante sono esplosi nel 2007, scuotendo l’intero mondo capitalista, così la scuola e i suoi lavoratori sono stati chiamati a sacrificarsi, al pari di altre categorie di lavoratori dipendenti, per sanare l’insanabile economia nazionale.

La crisi, i tagli e la loro gestione. Crisi significa tagli e i tagli vogliono dire: più soldi alle banche e agli imprenditori, meno soldi ai lavoratori dipendenti (taglio del salario diretto, dei posti di lavoro e del salario indiretto come scuola, sanità, servizi, pensioni...). Nello specifico della scuola, crisi sta significando una drastica riduzione di personale, risorse, mezzi, strumenti... una situazione drammatica, ma potenzialmente esplosiva.

Dal punto di vista del potere borghese, che ne è l’artefice, il taglio netto di decine di migliaia di insegnanti avviato dalla “riforma” Gelmini deve essere gestito, gestito nella maniera più indolore possibile. Questo significa che il più grande licenziamento di massa della storia italiana deve avvenire prevenendo e scongiurando la possibilità che la rabbia dei licenziati e tagliati possa trasformarsi in movimento di contestazione unito e, sopratutto, che la rabbia dei precari possa superare le guerre intestine, le divisioni sindacali e gli ostacoli istituzionali e giuridici che la vincolano, per arrivare a saldarsi con lo scontento dei docenti di ruolo, dei genitori, degli alunni, di tutti gli altri lavoratori della scuola... i quali sono, infatti, tutti accomunati dalla concreta constatazione del rapido peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro. Gestire, per loro, significa, insomma, dividere e prevenire la possibilità che l’opposizione si generalizzi, radicalizzandosi.

La dequalificazione dell’insegnamento. I tagli servono a risparmiare denaro e, al contempo stanno determinano l’adeguamento della scuola pubblica alle esigenze del nuovo mercato del lavoro. Se è vero che la scuola ha innanzi tutto il compito di formare i lavoratori di domani, e se è vero che il mercato del lavoro va sempre più caratterizzandosi nella direzione della disoccupazione di massa e del lavoro precario e/o scarsamente qualificato, allora è anche vero che la nuova scuola pubblica dovrà formare una formazione sempre più flessibile e dequalificata.

I tagli e la ridefinizione della nuova scuola pubblica vengono gestiti, anche, attraverso la riforma del reclutamento e dei percorsi abilitanti, che sono, infatti, l’oggetto del nostro studio.

Lo schema. Lo schema di decreto relativo al regolamento dei requisiti e modalità della formazione iniziale dei docenti si colloca pienamente in questo solco. Da un lato impoverisce ulteriormente la figura del docente della scuola secondaria, il quale accederà ad un biennio magistrale ed al successivo tirocinio (TFA) sulla base di soli tre anni di studi universitari. In questo caso la suddivisione tra un biennio magistrale e uno di ricerca non fa che confermare che i futuri docenti avranno sempre meno competenze disciplinari. Un altro aspetto che va sottolineato è che all’articolo 16 di questo schema si afferma chiaramente: “i corsi di cui al presente decreto sono organizzati dalle Università senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Questo, in tempi di violenti tagli alle Università, significa che anche questi corsi o non si attueranno o, peggio, si svolgeranno a totale carico degli iscritti.

E il reclutamento? In materia ci sono le proposte contenute nel DDL Aprea prima, nelle proposte Goisis e Cota poi. Ebbene, l’essenza di queste proposte è l’affermazione dell’idea che il reclutamento debba superare le graduatorie nazionali per avvenire attraverso graduatorie regionali, se non, addirittura, nella prospettiva di concorsi indetti direttamente dai Dirigenti, sulla scorta dei posti disponibili nelle singole scuole (o reti di scuole).

La nostra presa di posizione in merito. La nostra posizione non può correre il rischio di arenarsi tra i perigliosi articoli della legislazione in oggetto. Primo perché possiamo essere sicuri che la scuola verrà sottoposta ad altre, peggiorative, modifiche, secondo perché abbiamo bisogno di individuare dei punti di orientamento fermi, che ci permettano di avere le idee chiare in materia, affermando un punto di vista alternativo e rispondente al nostro specifico e comune interesse di lavoratori della scuola.

No alla regionalizzazione. La regionalizzazione va respinta, perché colpisce innanzi tutto chi vive condizioni peggiori e perché, dividendoci, prepara il terreno a nuovi ed ulteriori attacchi e miseria. Allo stesso modo va respinto qualsiasi criterio che metta in concorrenza i precari tra loro. Dopo 150 anni di sfruttamento, di clientelismo, e di politiche neo coloniali da parte delle borghesie del nord, il sud vive condizioni drammatiche: la crisi occupazionale ha raggiunto picchi di insostenibilità (vedi il caso estremo dei suicidi, o anche degli scioperi della fame). Sostenere politiche federaliste in materia di assunzione vuol dire condannare gli insegnanti del sud e, in pari tempo, aumentare la concorrenza interna alla nostra categoria.

Altri aspetti del medesimo problema. Allo stesso modo, l’assunzione tramite concorsi d’Istituto, o, peggio, attraverso la nomina diretta dei Dirigenti, significherebbe gettare intere masse di insegnanti alla disperata guerra tra poveri, pur di assegnarsi uno tra i pochi posti rimasti disponibili. Ugualmente va sottoposto ad aspra critica l’innalzamento dell’età pensionabile, il blocco delle finestre etc. i quali non fanno che ostacolare il ricambio generazionale, impedendo l’ingresso di nuovi docenti. In fine la stessa meritocrazia, che la FLC di fatto accetta, è un’arma contro di noi, perché volta ad incentivare i docenti ruffiani e proni, pronti a tutto pur di guadagnare di più o... di accedere al posto di ruolo, a discapito degli altri.

Il vero problema. L’unica realtà sulla quale dobbiamo focalizzare la nostra attenzione è che i tagli di personale e risorse stanno mettendo in ginocchio la possibilità di dare una adeguata risposta ai bisogni educativi/formativi dei giovani (in particolare di coloro i quali provengono da famiglie proletarie), cancellando al contempo la possibilità di dare adeguata occupazione ai circa 200’000 precari attuali (e a coloro che si abiliteranno in futuro).

Per cosa lottiamo. E’ impossibile, allora, fare qualsiasi ragionamento se il nostro “NO AI TAGLI!” non si leva corale, conseguente e compatto, nelle scuole, tra i docenti e tra gli studenti universitari che accedono ai percorsi abilitanti. E’ questa la premessa a qualsiasi discorso, il motivo centrale intorno al quale costruire la nostra unità nella lotta.

A questa premessa dobbiamo essere conseguenti impegnandoci nel denunciare – in tutti i modi possibili - la condizione di carenza di personale e risorse che la riforma sta creando, a partire dal pretendere la nomina dei supplenti e dal denunciare il fatto che alcuni colleghi pur potendo andare in pensione non ci vanno, fino a coinvolgere i ragazzi, i genitori e gli altri lavoratori della scuola in assemblee di mobilitazione volte a trovare di comune accordo obbiettivi e modi nei quali lottare in maniera più efficace a partire dal territorio, cercando, infine, sopratutto al sud, di dare vita ad iniziative forti insieme a chi è già stato tagliato fuori (come quella, purtroppo ancora isolata, di Messina)...

Per concludere sul reclutamento, non possiamo che respingere la frantumazione dei precari tra mille graduatorie per affermare, al contrario, la necessità che il reclutamento avvenga, per tutti, attraverso le graduatorie nazionali, sulla sola base dell’anzianità di servizio e dei titoli, escludendo, però, i titoli spazzatura da 1 e 3 punti messi in vendita nelle varie università.