sabato 18 dicembre 2010

Da Londra a Roma infiamma la protesta giovanile contro i tagli, contro la crisi


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Riflessioni sul movimento studentesco

Sarebbe riduttivo e stupido affermare che gli scontri sono stati opera solo di black-bloc e/o poliziotti infiltratisi nel corteo. La verità è molto più semplice delle dietrologie pacifiste o di destra che siano: a tre anni e mezzo dall’esplosione della crisi, i giovani si rendono sempre più conto che a loro non è riservato nessun futuro, che saranno loro a pagare i costi di una crisi che non hanno prodotto, che non c’è nessun soggetto politico o sindacale capace di rappresentare le loro istanze. Essendo questa la sensazione generale tra gli studenti, è evidente che quando gli “estremisti” sono arrivati in piazza col chiaro intento di “alzare il livello dello scontro”, in pochi se la sono sentita di affermare che poi avessero tutti i torti, in pochi hanno potuto evitare di constatare che due ore di guerriglia, un centinaio di feriti, ventitré arrestati sono ben poca cosa se confrontati con la violenza che tutti i giorni questo sistema decadente produce in termini di oppressione, precarietà, licenziamenti, disperazione, miseria e guerre; non c’è poi quindi da meravigliarsi se tra questi giovani incazzati una parte si sia spinta fino ad unirsi agli scontri con le “forze dell’ordine”.

Piazza del Popolo ha offerto uno spaccato esatto dello stato politico della gioventù proletaria e piccolo-borghese odierna:

  • L’ala più moderata, in qualche modo legata a realtà istituzionali, ed opportunista (Uniti contro la crisi-disobbedienti) ha ancora un grosso peso, in particolare dal punto di vista organizzativo, sebbene i loro contenuti politici fatti di ridistribuzione del reddito e di compromessi con le forze parlamentari, di anno in anno, si dimostrano sempre più parole al vento.
  • La grande massa degli studenti completamente allo sbando, privi di un legame con le tradizioni politiche del passato, incapaci di costruirsi una propria identità, intimamente spaventati per un futuro che appare sempre più nero.
  • La componente classista nel movimento è estremamente minoritaria e molto spesso non ha il coraggio di esprimersi. Inoltre, molti ragazzi e gruppi organizzati, pur avendo una base di per sé classista, spesso la reprimono nella pratica politica quotidiana, adattandosi alla situazione anziché cercare di spingere per una crescita in senso classista della protesta. Salutiamo con piacere il tentativo di alcuni studenti di uscire dall’ambito studentista, di cercare sponda e interesse nelle realtà del lavoro. L’auspicio è che questi pochi episodi si generalizzino e maturino ancora di più in senso classista.
  • Le frange dell’“estremismo di sinistra» italiano, composte da ex-neo-vetero-post-autonomi, qualche ultrà, pochi stalinisti e anarchici. Questi — sebbene più avvezzi a ragionare in termini di classe ed anticapitalisti — hanno dimostrato, ancora e per forza di cose, la loro incapacità a sviluppare una coerente analisi del presente e, sopratutto, ad avanzare un credibile progetto per il superamento rivoluzionario del capitalismo.

E’ in particolare quest’ultima area che il 14 si è imposta e, attraverso l’unica modalità di praticare il conflitto e la piazza che conosce, ha cercato di dare il suo contributo alla “ripresa della conflittualità antagonista” in Italia.

Ferma restando la solidarietà incondizionata che rivolgiamo ai ventitré arrestati e ai ragazzi feriti, ci teniamo a sviluppare alcune riflessioni utili all’ulteriore e positivo sviluppo del movimento di opposizione ai tagli e alla crisi.

  • Le parole d’ordine che in prevalenza il movimento esprime sono inadeguate: non basta essere contro Berlusconi e i suoi ministri, contro le forze della repressione borghese e contro la polizia. Il problema è molto più ampio. Ciò che le piazze dovrebbero esprimere è la necessità che il conflitto si estenda innanzi tutto nei luoghi di lavoro, fuori e contro la logica sindacale. La prospettiva che il movimento si dovrebbe dare è quella del superamento del capitalismo e delle sue crisi, la prospettiva del comunismo.
  • Serve a poco manifestare davanti al parlamento quando questo è solo il comitato che difende gli interessi della classe dominante: il movimento dovrebbe porsi con maggior forza il problema di andare alle periferie, di coinvolgere i proletari che sono colpiti dalla crisi per sviluppare quella lotta di classe, a partire dai luoghi di lavoro e dal territorio, che sola potrà mettere in discussione il capitalismo e la sua crisi.
  • Non è attraverso la pratica dello scontro di piazza in sé — come dell’anti-fascismo militante — che si innalza il livello di coscienza di classe, bensì denunciando lo sfruttamento, i tagli e la violenza, come unica modalità attraverso la classe dominante risponde ai problemi generati dalla sua crisi.
  • Fino a che non sarà chiara la prospettiva della lotta di classe e della necessità di superare il capitalismo ogni forma di conflitto, compreso lo scontro con le forze dell’ordine borghese, non potrà che collocarsi in un’ottica di riforma del sistema. Dare vita a scontri violenti non significa di per sé essere rivoluzionari, ma può significare anche il solo porsi con mezzi violenti sul terreno della riforma (in veste radicale) del sistema, indipendentemente dalle intenzioni soggettive.
  • La violenza è immanente al sistema, ma una cosa è difendere un corteo, difendere una lotta, essere determinati a raggiungere un obiettivo dal significato politico anticapitalista — e in questo caso la “violenza” della piazza è condivisibile — , un’altra è dare vita a scontri per arrivare… simbolicamente sotto il parlamento.
  • In mancanza dell’intervento attivo dell’avanguardia comunista, la rabbia che ribolle confusa — non da ultimo tra le generazioni più giovani — le generose fiammate di rivolta, sono destinate a essere riassorbite-represse dal sistema, senza poter compiere l’indispensabile salto di qualità in senso anticapitalistico.

Noi comunisti internazionalisti siamo stati e saremo sempre nelle lotte per innalzare il livello della lotta di classe e della coscienza rivoluzionaria dei proletari… fino a che questo infame sistema non sarà superato una volta per tutte.

2 commenti:

  1. è ora di svegliarci e ribellarci al fatto che i tagli avvengano sempre e solo nell'ambito della sanità,dell'istruzione e della previdenza sociale..è troppo comodo tagliare solo gli enti pubblici,utilizzati di solito da persone che non possono permettersi strutture private.purtroppo in italia i giovani brillanti,invece di essere ua risorsa sono un peso.....povera patria. studentessa liceo classico..

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  2. giusto, ma bisgna lottare contro tutti i tagli a chiunque tocchino, purtroppo questo marcio sistema è arrivato al limite, a noi abbatterlo... e non solo in Italia. Ma l'unica forza che può farlo è la lotta degli sfruttati, tutti, uniti contro il sistema. ciao.

    Lotus

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